mercoledì 21 settembre 2011
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Il nemico numero uno, nelle redazioni dei giornali, non è il politico corrotto, l’affarista senza scrupoli o l’opinionista inaffidabile. No, l’incubo degli incubi è il buontempone. Meglio: quella particolare categoria di buontempone che inventa ogni giorno un nome falso, spedisce lettere anche interessanti, nella speranza, ahimé spesso fondata, di vedersela pubblicata nella rubrica della posta. Il buontempone-grafomane è un tipo pieno di inventiva e la sua fantasia, allenata presumibilmente da anni di sciarade, anagrammi, rebus da periodici di enigmistica, è finalizzata a mettere nel sacco i redattori. Massima soddisfazione, per il "furbetto della letterina", trovare stampato su un quotidiano o su un settimanale, un suo scritto con la firma (è un esempio assolutamente vero) Marinella Tempesta o Casimira Colosi. Per chi non l’avesse colto, ecco il perfido tranello: Mari-nella-tempesta, Casi-miracolosi. Spesso l’esperienza di anni trascorsi in oscure redazioni a setacciare la posta dei lettori non basta per sfuggire all’insidia: al redattore serve l’occhio, l’intuito, la prontezza di riflessi per capire dove sta il sottile gioco di parole. Perché i buontemponi escogitano ogni giorno una nuova trappola. Così capita che Teodoro Lascella finisca per trovare spazio, con una sua serissima lettera sulla crisi finanziaria globale, sulle colonne di un blasonato quotidiano economico. O che Guido Naguzzi racconti la sua esperienza di turismo in motocicletta nella rubrica della posta di un mensile specializzato in viaggi… «Sì, capita – conferma Luca Paini, redattore della pagina delle lettere del Sole 24 ore, nonché esperto di cinema –. Qualche volta sono stato abbindolato anch’io. Ma non sono l’unico: pochi giorni fa un grande quotidiano nazionale milanese ha pubblicato la lettera di un Onesto Centochili, con tanto di risposta di un famoso editorialista… Io invece sono riuscito a schivare la pubblicazione di una lettera di tale Alessia Monoj: quel "siamo-noi" mi ha acceso una lampadina. Un’altra volta mi ha salvato l’allora direttore Gianni Riotta: mi ha telefonato un po’ allarmato perché nelle bozze della pagina aveva visto una Anna Mosene (romanesco per andiamocene,ndr)». Paini ammette che sì, si diverte a spulciare gli errori dei colleghi: quante volte, cioè, si lasciano imbrogliare dai "furbetti delle letterine". E ha una sua teoria: poiché le missive-trabocchetto hanno uno stile omogeneo, una lunghezza standard e non portano mai l’indicazione della città, l’autore potrebbe essere uno solo. Chissà, forse un giornalista in pensione da pochi anni, con tanto tempo libero, un’ottima padronanza dei temi di attualità (i messaggi contengono riflessioni mediamente interessanti e originali su qualunque tema, dagli esteri allo sport), una certa conoscenza di internet (possiede una mailing list capillare di tutte le rubriche di posta dei giornali e conia periodicamente nuovi indirizzi di posta elettronica) e una infinita voglia di prendersi gioco dei colleghi nelle redazioni. Una teoria interessante, che a voler indagare a fondo porterebbe forse ad avvicinarsi all’identità del mitomane, ammesso che sia uno solo. «La valanga di lettere false è iniziata tre anni fa...», suggerisce Paini. In ogni caso, la fantasia del buontempone o dei buontemponi, propone sempre nuove combinazioni: si va dal tuttologo Leo Pignoni alla svagata Eva Porati, dal musicologo Ivo Calizzi al malandrino Rolando Spinelli, dal sofferente Enrico Verato fino alla casalinga distratta Emma Cheroni Scotti… Ma l’elenco potrebbe continuare quasi all’infinito. I capiredattori più avveduti compilano delle vere e proprie liste di proscrizione, da tenere bene in vista in ufficio per evitare che i colleghi più giovani caschino nei tranelli e che l’autorevolezza di un giornale possa così essere incrinata da lettere, ancorché sensate, firmate proditoriamente da un Chicco Basmati, da una Wilma Laclava o da una composta signora dal nome bellicoso Vanna Mazzati Piccoli, che "delizia" le redazioni con almeno un paio di missive la settimana. Un altro grafomane seriale, che a volte ha anche la soddisfazioni di finire in pagina, è Alessandro Medario, mentre ormai anche i redattori più inesperti conoscono la spudoratezza di Carmelo Smeriglio di Mola di Bari…. Il lettore vinca lo scetticismo e sappia che è tutto vero: possiamo mostrare la nostra personale raccolta di email tarocche. Di buontemponi ne sa qualcosa anche Sara Ricotta, giovane e brillante giornalista di La Stampa che dalla redazione di Milano smista e passa al setaccio la posta dei lettori. «Io divido i miei lettori-scrittori in tre categorie: i grafomani seriali, che amano invadere le redazioni con le loro elucubrazioni su ogni argomento. Le firme in genere sono vere: hanno la mailing list delle rubriche di posta di decine di giornali e bisogna stare attenti perché si rischia di pubblicare la stessa lettera già uscita su altre testate. In fondo, sono innocui, anche se insidiosi. Poi ci sono i notisti politici: si sfogano contro questo o quell’uomo di governo o di opposizione e spesso sono volgari e insultanti, al limite della querela. Impubblicabili. Infine, ci sono gli spiritosi, quelli che sotto falso nome mandano lettere e poi si divertono a vedere se qualche giornale gliele pubblica. Anche qui ci sono delle sottocategorie: i volgari (amano i giochi di parole con contenuto osceno, che qui certo non possiamo dettagliare, ndr), i dialettali, che compongono capolavori con espressioni piemontesi che vengono decifrate solo dai più esperti, i monarchici che si esibiscono con Amedeo Principe e affini…». L’arte del redattore è schivare la trappola e un po’ di addestramento con i periodici di enigmistica o con qualche linguaggio cifrato non guasta. Ma perché nomi falsi sotto messaggi tutto sommato sensati? «Perché magari si vergognano, oppure non vogliono esporsi», spiega Sara Ricotta. «Se la lettera è interessante, però, non la cestiniamo. Sarebbe un peccato. In questi casi la firmiamo solo con le iniziali». Zero soddisfazione, in questo caso, per i vari Gianni Di Piombo, Marco Tolengo, Mauro Amaldi Testa… non sono loro ad aver messo nel sacco il giornale, ma il contrario. Almeno per questa volta: la sfida è sempre aperta.
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