martedì 29 gennaio 2013
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​Uno dei grandi misteri d’Italia, una delle troppe stragi senza responsabili. Almeno a livello penale. "Figlia" di una stagione diversa da quella degli anni ’60-70, le bombe nere della strategia della tensione. Gli 81 morti del Dc9 Itavia, in volo tra Bologna e Palermo, scomparso il 27 giugno 1980 sui cieli di Ustica, sono, invece, molto probabilmente, le prime vittime della tensione internazionale sullo scacchiere mediorientale. In realtà precedute dai quattro membri dell’equipaggio del Douglas C-47, nome in codice "Argo 16", l’aereo dei servizi segreti caduto il 23 novembre 1973. Anche qui nessun responsabile (alla fine passò la tesi dell’avaria) ma molti depistaggi, italiani e stranieri. Proprio come il Dc9.Tre, sostanzialmente, le piste seguite per Ustica. In un primo momento quella del cedimento strutturale. Quasi contemporaneamente quella della bomba a bordo, tesi sostenuta anche da pesanti depistaggi anonimi, parto di settori dei nostri servizi segreti, allora pesantemente inquinati dalla loggia P2 di Licio Gelli. Una tesi che faceva forza sulla successiva bomba del 2 agosto alla stazione di Bologna, per la quale sono stati condannati in via definitiva i terroristi neri Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. E infatti si faceva proprio il nome di un altro nero, Marco Affatigato.Ma la tesi più seguita, grazie soprattutto al lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla stragi, è stata quella del missile che per errore avrebbe colpito l’aereo dell’Itavia, dietro al quale si sarebbe nascosto il vero bersaglio. Di chi il missile e chi era il bersaglio? Nel 2007 l’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, all’epoca della strage presidente del Consiglio, attribuì la responsabilità a un missile francese destinato in realtà ad abbattere un aereo che trasportava il leader libico Gheddafi. Ipotesi peraltro già emersa sia nelle inchieste giudiziarie che in quella parlamentari e rafforzate dal ritrovamento il 18 luglio (versione ufficiale) sempre del 1980, in Calabria, sui monti della Sila, di un Mig 23 libico, precipitato col suo pilota. Varie testimonianze portarono a ipotizzare che la caduta potesse essere legata proprio alla strage del Dc9. Ma anche da questa vicenda non è uscita nessuna verità certa. Il che ha rafforzato l’ipotesi che l’aereo dell’Itavia fosse finito «in uno scenario di guerra» e che proprio per questo fossero scattati i depistaggi, come la sparizione di registri e di nastri radar che avrebbero potuto registrare tale scenario.Le inchieste puntarono decisamente su questa pista, grazie anche al recupero dei resti dell’aereo a 3.700 metri di profondità, possibile solo nel 1987 con un finanziamento straordinario. A eseguirlo, l’impresa francese Ifremère, una scelta che provocò polemiche e sospetti, sia per la nazionalità che per il legame coi servizi segreti d’oltralpe. Comunque andò a buon fine e in quattro anni fu portato in superficie l’85% dell’aereo, che venne completamente ricostruito come in un tragico puzzle.Malgrado questa imponente operazione, le numerosissime perizie ordinate dai vari magistrati che hanno condotto l’inchiesta non sono riuscite a dare risposte univoche, ondeggiando sempre tra bomba e missile. Così si arrivò solo al processo per le "coperture". Ma alla fine senza responsabili. Il 30 aprile 2004 la terza corte d’assise di Roma assolve vari ufficiali dell’Aeronautica per i presunti depistaggi. Il 15 dicembre 2005 la prima corte d’assise di appello di Roma assolve i generali Bartolucci e Ferri, accusati di alto tradimento in relazione all’omessa comunicazione al Governo di informazioni sul disastro. Il 10 gennaio 2007 la Cassazione conferma per tutti l’assoluzione. Restano ancora aperti alcuni stralci, sia a Roma che a Bologna, sia sulla pista missile che su quella bomba. In attesa delle promesse collaborazioni francesi.
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