mercoledì 23 gennaio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
​La chiamano "terra dei fuochi" o "triangolo dei veleni" o, ancora, "triangolo delle Bermude". Qui in un’area tra il nord delle provincia di Napoli e il sud di quella di Caserta, da decenni si scaricano illegalmente rifiuti pericolosi provenienti da tutta l’Italia. Spariscono sotto terra o vengono bruciati, sotto il controllo o, almeno, il silenzio della camorra. Terra di ecomafie che proprio qui hanno inventato il ricchissimo affare del traffico illecito dei rifiuti, appannaggio soprattutto del clan dei "casalesi" («Entra monnezza e esce oro», spiegava il boss) con la collusione di politici e imprenditori locali, come confermato da inchieste e processi, molti dei quali in corso proprio in questi giorni.Da almeno trenta anni in questa zona, che comprende decine di Comuni dove vivono alcune centinaia di migliaia di persone, e anche alcuni quartieri nord di Napoli come Scampia e Secondigliano, quasi tutte le sere si alzano dense nuvole di fumo nero e mortale. Sono gli "inceneritori della camorra", o anche del "fai da te" che fa risparmiare industriali campani e del Nord. Plastiche e copertoni come combustibile e veleni industriali a bruciare sopra. Un fenomeno criminale ben noto, denunciato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo illegale dei rifiuti fin dagli anni 90. Invano, come le denunce delle associazioni ambientaliste.Intanto in quell’area si è cominciato a vedere un incremento di malattie e morti. Al punto che la rivista scientifica The Lancet nel settembre 2004 pubblicò un’inchiesta dal titolo «Triangolo della morte». E nel 2007 addirittura la Protezione civile commissionò all’Istituto Superiore di Sanità e all’Oms un rapporto sulla salute in questa area. Dati drammatici che confermavano un incremento di tumori e di mortalità altissimo. Denunce, studi e anche inchieste. Storia antica, dramma concreto che riemergeva ogni tanto in questi anni. Per poi essere dimenticato. Nessun intervento concreto, scarsi mezzi di contrasto e scarso interesse delle istituzioni. Fino al grido di dolore di un piccolo e sconosciuto parroco che raccoglieva la voce del "popolo inquinato". «Ormai non hanno più paura di niente e di nessuno. L’incredibile misfatto avviene in pieno giorno, sotto gli occhi di tutti»: così il 5 luglio dello scorso anno iniziava l’editoriale su Avvenire di don Maurizio Patriciello, parroco di San Paolo Apostolo a Caivano. Un appello («Chi ne ha la responsabilità si faccia avanti») a non restare in silenzio e con le mani in mano. Un appello raccolto dal nostro giornale che per tre mesi ha quotidianamente raccontato con reportage, inchieste, interviste e approfondimenti il dramma di questa terra.E quella singola voce che dava voce a chi voce non aveva, piano piano è diventata un "coro". Gli altri parroci, i sette vescovi della zona che firmano come "vescovi della terra dei fuochi" un duro documento che parla di «vera ecatombe» chiedendo maggiori controlli e interventi. Si muovono finalmente le istituzioni, fino ai più alti livelli. Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini mette in campo i carabinieri del Noe. Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, istituisce una task force per analizzare lo stato di salute nell’area. Il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, nomina un commissario per il coordinamento del contrasto ai roghi.In quella terra, in quella parrocchia arrivano una delegazione del Parlamento europeo e i membri della Commissione d’inchiesta sul ciclo illegale dei rifiuti. «Una cosa fuori dal mondo», commenta in quell’occasione il presidente Gaetano Pecorella. E mentre emerge sempre più la colpevole tragedia ambientale e sanitaria, qualcosa si muove. E si muovono soprattutto i cittadini che, per la prima volta, manifestano non contro una discarica o un inceneritore, ma contro gli inquinatori. Fiaccolate e manifestazioni che attraversano i paesi più colpiti, giovani e anziani, famiglie e associazioni. Ora più nessuno può dire «non sapevo».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI