giovedì 10 gennaio 2013
Il presidente dell’Antimafia: scelte investigative ardite. Ma Amato e Ciampi ne erano totalmente all’oscuro.
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​Una trattativa, o almeno un tentativo, ci fu, ma «tra uomini dello Stato privi di un mandato politico e uomini di Cosa nostra divisi tra loro e quindi privi anche loro di un mandato univoco e sovrano», senza che «i vertici istituzionali e politici» del tempo ne fossero a conoscenza. È la conclusione cui è giunto il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Giuseppe Pisanu, nelle 67 pagine di comunicazioni sui «grandi delitti e le stragi di mafia ’92-93», presentate ieri a palazzo San Macuto.«Dal presidente della Repubblica Scalfaro ai presidenti del Consiglio Amato e Ciampi – è l’importante sottolineatura di Pisanu – hanno sempre affermato in tutte le sedi di non averne mai, in quegli anni, neppure sentito parlare» e, aggiunge, «non possiamo mettere in dubbio la loro parola e la loro fedeltà alla Costituzione». Ma «resta il sospetto che dopo l’uccisione dell’onorevole Lima uomini politici siciliani, minacciati di morte, si siano attivati per indurre Cosa nostra a desistere dai suoi propositi in cambio di concessioni da parte dello Stato». E Pisanu fa, ad esempio, il nome dell’ex ministro Calogero Mannino.Il presidente dell’Antimafia è tornato più volte sui contatti tra il Ros dei Carabinieri e Vito Ciancimino, «un’ardita operazione investigativa che, cammin facendo, uscì dal suo alveo naturale», forse «per imprudenza» degli stessi militari dell’Arma e, ancor più, per l’ambizione del sindaco di Palermo che aveva «tutto l’interesse ad elevare i contatti al rango di vero e proprio negoziato tra Stato e mafia». Insomma ci furono «convergenze tattiche» ma «strategie divergenti» dal momento che gli uomini del colonnello Mori (allora comandante del Ros) «volevano far cessare le stragi», i mafiosi «volevano svilupparle fino a piegare lo Stato». Dunque, insiste Pisanu, «i Carabinieri e Vito Ciancimino hanno cercato di imbastire una specie di trattativa. Cosa nostra li ha incoraggiati, ma senza abbandonare la linea stragista; lo Stato in quanto tale, ossia nei suoi organi decisionali, non ha interloquito e ha risposto energicamente all’offensiva terroristico-criminale».Quanto invece ai contatti, molto più confusi, che avrebbero dovuto portare alla soppressione del carcere duro, il presunto esito (il mancato rinnovo del 41bis a 334 mafiosi, 23 dei quali siciliani «di media caratura criminale») «c’è una tale sproporzione – ha commentato Pisanu – da mettere in dubbio la stessa ragion d’essere della trattativa».Un capitolo importante della relazione è stato dedicato alle stragi. «Conosciamo le ragioni e le rivendicazioni che spinsero Cosa nostra a progettarle e ad eseguirle, ma è logico dubitare che agì e pensò da sola. Di certo non prese ordini da nessuno – ha spiegato Pisanu – perché ha sempre badato al primato dei suoi interessi e all’autonomia delle sue decisioni ma, quando le è convenuto, quando vi è stata convergenza di interessi, non ha esitato a collaborare con altre entità criminali, economiche, politiche e sociali». Quel che è certo, afferma il presidente, è che «se nel ’92-93, similmente ad altre fasi di transizione, si mise in opera una strategia della tensione, "cosa nostra" ne fece parte. O meglio, fu parte, per istinto e per consapevole scelta, del torbido intreccio di forze illegali e illiberali che cercarono di orientare i fatti a loro specifico vantaggio. Indebolire lo Stato significava renderlo più duttile e più disponibile a scendere a patti». In questa strategia «non si può ipotizzare l’esistenza di "mandanti esterni" mentre sono verosimili "input esterni". Dunque non si possono neppure escludere temporanee "convergenze di interessi" tra settori deviati delle istituzioni, mafia ed altri soggetti per commettere delitti, per l’appunto, di comune interesse».Dubbi che emergono anche dalle capacità tecniche dispiegate dalla mafia a Capaci tanto da far ipotizzare a Pisanu, che ci possa essere stato un supporto esterno. Infatti, spiega, fu necessaria una «speciale competenza tecnica per realizzare un innesco che evitasse l’uscita laterale dell’onda d’urto dell’esplosione e la concentrasse invece sotto la macchina di Falcone. Mi chiedo: "cosa nostra" ebbe consulenze tecnologiche dall’esterno?».

*** Aggiornamento del 22 luglio 2019

Confermando la sentenza di primo grado, la prima sezione della Corte d'appello di Palermo ha assolto l'ex ministro Dc Calogero Mannino dall'accusa di minaccia a Corpo politico dello Stato. Era imputato nel processo stralcio sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. L'accusa ne aveva chiesto la condanna a 9 anni.




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