lunedì 9 febbraio 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Venerdì sera, ho partecipato alla fiaccolata contro la tratta degli esseri umani organizzata a Roma dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, dall’Usmi (l’Unione di riferimento delle congregazioni religiose femminili) e da altri soggetti. Per la prima volta ho potuto sostenere questa iniziativa non solo con un patrocinio, da presidente del Forum delle associazioni familiari, ma vivendo in prima persona un momento di preghiera, di denuncia e di accoglienza, accendendo anch’io una piccola candela, segno della luce della libertà, della speranza e della liberazione, assieme a persone comuni, volontari, sacerdoti e suore, vescovi e cardinali. Soprattutto ho potuto ascoltare il racconto e guardare gli occhi di chi dalla schiavitù è stato salvato, perché ha incontrato una persona che lo ha scrutato in volto, lo ha abbracciato e gli ha detto: «Vieni con me». Giovani italiani in fuga da casa intrappolati nella schiavitù del caporalato della raccolta dei pomodori, ragazze straniere costrette a battere i marciapiedi, tra minacce e percosse così violente da spingerle a tentare il suicidio, migranti scampati al naufragio nel Mediterraneo, vittime prima degli scafisti e poi dei mercanti di uomini.Commozione, preghiera, canti e balli, simboli e volti illuminati dalla speranza, sofferenze inaudite offerte alla Santa degli schiavi, quella suor Bakhita che proprio nella liberazione dalla schiavitù ha incontrato Cristo. E tutti, all’uscita dalla Chiesa, avevano uno sguardo diverso, e la tranquilla ma urgente responsabilità di un mandato, che risuona nelle profetiche parole di don Oreste Benzi: «Aiutatele! Non lasciatele sole!». Tutti ancora più convinti e determinati a dire un "no" irremovibile alla schiavitù: no alla tratta degli esseri umani, sì alla liberazione e alla difesa della dignità di ogni persona, attraverso una prossimità che si fa accoglienza.Poi, ieri mattina, ho letto sui giornali la "grande idea" del Comune di Roma per affrontare il tema della prostituzione: costruire un quartiere, o meglio, selezionare delle strade "a luci rosse", perché così si regolebbe e stabilizzerebbe un "mercato". Qui verrebbero concentrati anche operatori e volontari. Chi invece andasse "a prostitute" fuori dal quartiere, subirebbe una multa di 500 euro, perché il Comune medita un "divieto alla prostituzione", ma solo fuori da quelle strade. La mia reazione è stata prima di tutto di tristezza: possibile che la giunta Marino non riesca a vedere le persone in gioco? Possibile che si possa tollerare lo sfruttamento dei corpi, la dignità calpestata di queste donne, di questi giovani ragazze e ragazzi? Possibile che qualcuno ancora si illuda che esista una differenza tra "sfruttamento della prostituzione" e le cosiddette "libere professioni del sesso"? A livello nazionale si è proposto anche di dare la partita Iva a chi vende prestazioni sessuali: così almeno pagherebbe le tasse. Eppure, la realtà è semplice: la scelta del quartiere a luci rosse, dietro l’apparentemente virtuoso approccio della "riduzione del danno", tollera e legittima la mercificazione del corpo umano, diventa complice della tratta.Ai clienti don Oreste Benzi diceva: «Convertitevi! La libidine vi divora, ma alla fine siete anche voi degli infelici». E alle autorità chiedeva: «Combattete con più decisione questo crimine, che nulla ha a che fare con il lavoro». Ecco, a me bastano le parole di don Benzi, e lo sguardo sereno e determinato delle persone che uscivano dalla veglia di venerdì sera, per capire quali responsabilità abbiamo, per portare la liberazione dalla schiavitù, presente anche nel nostro Paese. La giunta Marino ha ancora la possibilità di ripensarci: altro che quartiere a luci rosse. Non è un problema di ordine pubblico o di decoro: è un problema di dignità della persona. Ripensaci, Comune di Roma. Il mondo ti guarda.* Presidente del Forum delle associazione familiari
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: