mercoledì 13 luglio 2016
​Ottantatré anni, venne arrestato dopo una lunga latitanza. Il questore Longo vieta funerali in chiesa. L'arcivescovo di Palermo: occasione di misericordia. IL QUESTORE CHE LO CATTURO' «Incrociai il suo sguardo e capii che era lui»
Morte Provenzano, questore vieta funerali
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​È morto il boss Bernardo Provenzano. Ottantatré anni, malato da tempo, indicato come il capo di Cosa nostra, venne arrestato dopo una latitanza di 43 anni l'11 aprile del 2006 in una masseria di Corleone, a poca distanza dall'abitazione dei suoi familiari. Il questore di Palermo Guido Longo ha già disposto che vengano vietati i funerali. La decisione è stata presa per motivi di ordinepubblico, come già avvenuto in passato per altri casi analoghi. I familiari del capo mafia, ha aggiunto il questore, potranno accompagnare in forma privata la salma del congiunto nel cimitero di Corleone, ma senza che si svolga la cerimonia funebre in chiesa.

Il padrino di Cosa nostra, pluriergastolano, detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Palermo, è morto all'ospedale San Paolo di Milano, dove era stato ricoverato il 9 aprile 2014, proveniente dal centro clinico del carcere di Parma. Era in uno stato clinico "gravemente deteriorato dal punto di vista cognitivo".CHI ERA IL BOSS DEI BOSS. Corleonese doc, classe 1933, era stato fiaccato dalla vecchiaia e da un cancro alla vescica. Il suo passato, però, racconta un'altra storia: Zu Binnu, oppure Binnu u tratturi (Bernardo il trattore, per la violenza con cui stroncava vite) è stato uno dei criminali più spietati degli ultimi 50 anni, re di Cosa Nostra dal '93 al 2006 e condannato in contumacia a 3 ergastoli. Latitante per ben 43 anni, Provenzano per il ministero della Giustizia aveva meritato il carcere duro, anche quando per i medici non era più capace di incapace di intendere e volere. Il boss siciliano rappresentava in carne e ossa alcune delle pagine più nere della storia italiana recente.Come braccio destro di Riina, impartisce l'ordine degli attentati di Capaci e via d'Amelio nel 1992, le stragi in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E c'è sempre la sua mano nell'autobomba di via dei Georgofili a Firenze. L'11 aprile scorso ricorreva il decennale del suo arresto, avvenuto in un casolare a pochi passi da dove era nato, in località Contrada dei Cavalli, a Corleone, in provincia di Palermo. A tradire il boss era stato l'ultimo suo pizzino, inviato alla moglie la mattina stessa dell'arresto.

L'ARCIVESCOVO: OPPORTUNITA' DI MISERICORDIA. "Per lui ci possa essere opportunità di misericordia, ma per noi ci sia riscatto erifiuto di ogni illegalità, liberazione da ogni potere che schiavizza, affinchè realizziamo sempre più una città nuova in cui emerga la bellezza di cui ci parla anche la vita di Santa Rosalia". L'auspicio e l'esortazione vengono dall'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, intervenuto sulla morte del boss nel giorno della tradizionale Messa a Palazzo delle Aquile, per il Festino di Santa Rosalia. Nella sua omelia un invito a Palermo ispirato dal Cantico dei Cantici: "Alzati Palermo, è finito l'inverno". Un invito il cui presupposto resta però quello di rifiutare ogni forma di violenza: "Dire no all'aggressività, ai fiumi di sangue", in una realtà in cui "si muore ancora", si assiste alla devastazione degli incendi e "si piange per la mancanza di casa". Lorefice, che prima aveva incontrato una gruppo di famiglie senzatetto, ha invitato ciascuno a fare la piopria parte per "proteggere e accrescere la bellezza di Palermo".

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