mercoledì 15 maggio 2013
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«Una grandissima tenerezza. Questo mi ha suscitato la notizia che Angelina Jolie, che non è solo una donna da copertina, abbia preso una decisione tanto difficile. E un altrettanto grande dispiacere. Perché sono convinta che nell’eziologia del tumore ci sia anche una dimensione emozionale. E che nel caso della Jolie andasse tenuto presente tutto il dolore che ha provato per la malattia e la morte della madre. Che si dovesse tenere conto anche di quello che si ripromette di risparmiare ai figli». Giuliana Mieli, psicoterapeuta, ha speso gran parte della sua vita lavorativa affiancando gli oncologi dell’ospedale San Gerardo, a Monza. «Mi piace Angelina Jolie – confessa – come attrice e come donna. Non è una bellezza senza cervello». L’attrice – sei volte mamma, con tre figli biologici e tre adottati – lo ha scritto a chiare lettere: con la mastectomia preventiva spera di sfuggire alla malattia ma anche – e forse soprattutto – evitare che i figli vivano ossessionati dal pensiero che lei muoia per il cancro, come la nonna. Si è sacrificata per non costringere i suoi ragazzi ad affrontare il lutto. «È solo un’illusione. Non credo sia questa la strada giusta e, anzi, sono convinta che una scelta così radicale crei a propria volta un lutto. Tanto più che la decisione della Jolie – prosegue Mieli – dimostra che c’è in lei una grande consapevolezza, un atteggiamento cruciale per rendere efficace qualsiasi strategia preventiva e basata sulla diagnosi precoce. Troppo alto il costo umano della sicurezza chirurgica».Nelle parole che ha affidato al New York Times, Angelina sostiene: «Le sfide che non ci devono spaventare sono quelle su cui possiamo intervenire e di cui possiamo assumere il controllo». Ma è la prima a sapere che l’intervento a cui si è sottoposta tre mesi fa non la mette al riparo dal tumore. Che malgrado gli esisti infausti degli esami genetici, il cancro al seno avrebbe potuto non presentarsi mai e che nessuno può garantirle non insorga comunque: il rischio è stato abbattuto ma non cancellato. Con buona pace del controllo... «Io l’avrei aiutata in un altro modo, cercando di far emergere la sua sofferenza psicologica. La medicina si occupa del dolore fisico che solo un aspetto della sofferenza. Credo – prosegue la psicoterapeuta – che l’avrei accompagnata nell’affrontare le sue paure in modo umano e non chirurgico,facendomi guidare dalla sua complessa storia emotiva». È sempre percorribile una strada diversa da quella che porta in sala operatoria: «È tutta una vita che combatto perché la medicina esca dalla dicotomia corpo-mente. Non si può pretendere di curare il primo ignorando la seconda».
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