sabato 26 gennaio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
​«Integrare i disabili è una grande sfida per tutta la scuola, che può essere vinta solo puntando sulla competenza diffusa e la collaborazione tra gli insegnanti e le famiglie».È quella della «formazione continua», la strada indicata da Luigi D’Alonzo - docente di Pedagogia speciale all’Università Cattolica, presidente della Società italiana di Pedagogia speciale (Sipes) e membro dell’Osservatorio sulla disabilità del Ministero dell’Istruzione - per far fronte alla crescente domanda educativa che arriva dagli studenti con handicap che, come certifica l’Istat, sono in costante crescita.La scuola ha le risorse per far fronte a queste nuove esigenze?In tema di risorse mi preme specificare subito una cosa: lo studente con disabilità non è allievo solo dell’insegnante di sostegno ma, come tutti gli altri, è allievo del docente titolare della classe. E anche l’insegnante di sostegno è della classe, non solo del ragazzo che gli è affidato. Ciò premesso, mi sembra di poter dire che la strada intrapresa dal Miur, che punta sulle competenze diffuse di tutto il corpo docente, sia quella giusta. Quest’anno sono stati organizzati circa trenta master di specializzazione sui Disturbi specifici di apprendimento (Dsa), con un centinaio di partecipanti per corso. A breve partiranno altri Master sull’autismo, la disabilità intellettiva, i disturbi comportamentali e sensoriali. Per favorire la partecipazione dei docenti, è richiesta una quota di partecipazione davvero minima, essendo i Master organizzati dalle università e finanziati dal Miur.Come si traduce questa formazione una volta in classe?In unitarietà d’intenti, programmatica e ideale, all’interno del Consiglio di classe. Il successo dell’integrazione dipende dal grado di coinvolgimento di tutti gli insegnanti, nessuno escluso.A che punto siamo?I dati ci dicono che la situazione italiana è a macchia di leopardo. Accanto a casi di assoluta eccellenza ce ne sono altri ancora molto problematici. L’obiettivo è diffondere l’eccellenza sul territorio nazionale. E qui è essenziale il coinvolgimento delle famiglie dei ragazzi disabili, che invece, troppo spesso, delegano alla scuola la soluzione dei problemi, per propria incapacità ma anche a causa di problematiche al proprio interno. La gestione di un disabile non è semplice per nessuno.Oltre a valutare l’integrazione si arriverà a valutare anche il successo scolastico degli studenti disabili?È molto difficile. Per ogni ragazzo andrebbe costruito un progetto su misura con propri obiettivi. Nella valutazione del successo andrebbe anche considerato il livello di coinvolgimento della famiglia, con tutte le questioni prima ricordate.Quali sono le principali zone d’ombra a cui mettere mano?Un aspetto negativo, su cui il Miur dovrà senz’altro lavorare, è il cambio di insegnanti di sostegno ad anno scolastico in corso. Non va bene perché incide negativamente sulla continuità educativa e didattica. Aspetti essenziali per tutti gli studenti ma, in modo particolare, per i disabili. Per questo, all’Osservatorio ministeriale stiamo valutando l’opportunità di una norma che garantisca la permanenza di un insegnante di sostegno in una classe per almeno 2-3 anni. È un aspetto decisivo e molto delicato su cui stiamo lavorando con attenzione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: