lunedì 29 ottobre 2012
COMMENTA E CONDIVIDI

Direttore Tarquinio, l’Italia è ancora un Paese cattolico?Lo è, certo. Nonostante l’emergere di un «analfabetismo di ritorno» anche dal punto di vista religioso. L’Italia è Paese cattolico in diversi modi: per fede vissuta, per identità e cultura profonde, per persistente tendenza a tradurre sul piano sociale e civile i valori cattolici solidali e comunitari, per quasi naturale abitudine – come mi piace dire – a «respirare cristiano» pur in un tempo segnato dai venti inaridenti della secolarizzazione dura e del relativismo assoluto amplificati a tornado da un clima mediatico ostile e, a tratti, «irrespirabile»...I dati sulla pratica religiosa sono in chiaroscuro...Lo so, come so che non tutto il Paese è lo stesso. Ma so anche che la pratica religiosa di molti cattolici è oggi molto più consapevole che in passato, è credo che questo sia uno dei frutti preziosi del Concilio. Il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, evoca spesso, e a ragione, l’immagine di una «Chiesa di popolo». Credo che sia una verità sulla quale non si riflette abbastanza, una verità che si è data e si dà così per scontata, o al contrario per superata, che qualcuno, anche in casa nostra, finisce per disprezzarla o, semplicemente, per dimenticarsene. E così ci si dimentica anche della responsabilità d’impegno presente e futuro che comporta questa eredità oggi per tanti versi «eccezionale» nel panorama europeo. La Chiesa italiana è una realtà autenticamente popolare, che sul piano pastorale continua a immergersi in un modo semplicemente unico – da nessuno imitato anche perché per aspetti fondamentali inimitabile – nella vita della nostra gente, e a capirla. Sono convinto che proprio per questo sconta antiche e nuove avversioni – diciamo così – «elitarie»...Come sta cambiando il rapporto dei cattolici italiani con la Chiesa?La Chiesa è maestra, ma è anche madre e soprattutto in questo tempo di crisi e di fatica di vivere e, persino, di sopravvivere, è alla madre che si guarda e si ricorre con crescente urgenza e ritrovata e spesso dolente fiducia. Si chiede di essere accolti e sostenuti, con il proprio sacco di buone intenzioni e fardelli di contraddizioni che si appesantiscono in un tempo in cui c’è da imparare di nuovo la pazienza solidale del saper «stare insieme»: in famiglia come nella società, in politica come nei luoghi del lavoro. La sfida è trovare spazio, parole e gesti giusti per tutti. E la Chiesa non si sottrae, checché se ne dica. Perché la Chiesa, come ci ricorda l’arcivescovo di questa diocesi, cardinale Caffarra, «è carità ed esiste per esercitare la carità». Credo che la consapevolezza di questa verità fondativa della comunità ecclesiale sia indispensabile per affrontare con speranza in questo Anno della Fede i problemi che si vanno diffondendo in quelli che Papa Benedetto ha definito i «deserti» delle società contemporanee occidentali. Penso alle egoistiche manipolazioni e strumentalizzazioni della vita umana, penso alle «rotture» agevolate e incentivate delle unità familiari e della concezione stessa della famiglia, penso alla pretesa di ridurre gli spazi di libertà educativa, di coscienza e di religione proprio mentre aumenta la pervasività di un pensiero unico politicamente corretto, formalmente «liberal» e sostanzialmente illiberale.La presenza dei cattolici nella società italiana sembra, a una prima impressione, significativa. Non altrettanto si può dire della rilevanza politica e culturale. Da cosa dipende questa apparente contraddizione?La verità è che, negli ultimi vent’anni, è stato relativamente facile essere cattolici nel «sociale». Si gode di buona considerazione e anche di buona stampa (tranne quando, su quasi tutti i giornali, si accusano le nostre attività non profit e di welfare sussidiario di godere di privilegi ingiusti, arrendendosi alle grossolane mistificazioni dei radicali e di altri anticlericali professionisti...). Resta il fatto che nel «sociale» i cattolici pesano tanto: si fa qualcosa di utilissimo per i più piccoli e i più deboli che altri fanno poco e che lo Stato fa sempre meno. Non credo poi che ci sia stata una irrilevanza culturale dei cattolici, parlerei piuttosto dello sviluppo del tentativo molto gramsciano di ridurci sulla difensiva, in parte riuscito (anche per complicità interne) e in parte impossibile: ci sono settori del nostro mondo che amano le trincee, ma il cattolicesimo è da duemila anni movimento in campo aperto, confronto serio con ogni modernità con la spinta in avanti che viene dalla tradizione del «depositum fidei» e dalla saldezza dei valori primari di un umanesimo positivo, totalmente dalla parte dei «minimi» agli occhi del mondo. Quanto alla politica, veniamo da anni di «lontananza» per rifiuto di quello che io chiamo il «bipolarismo furioso» e del cinismo che lo ha accompagnato. Ma in questi stessi anni ci sono stati episodi e testimonianze alte, belle e utili. Bisogna ripartire da lì e da scelte lucide di altri cattolici – come direbbe Stefano Zamagni, citando sant’Agostino – «indignati» e «coraggiosi». Io dico anche «radicati» ed «esigenti».Papa e vescovi hanno auspicato l’avvento di una nuova generazione di politici cattolici. Che cosa blocca e cosa può favorire questo auspicio?Sul piano culturale, lo sta favorendo l’impegno già in atto e in via di intensificazione per far conoscere la Dottrina sociale della Chiesa e per formare laici cristiani consapevoli. Sul piano politico, l’archiviazione di una fase segnata dal berlusconismo e dall’antiberlusconismo e dalle tentazioni di riesumare vecchie «macchine da guerra» e puri e semplici cartelli elettorali incapaci di coerenza programmatica. Ma soprattutto potrà farlo, credo, il varo di una legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di scegliere uomini e donne che li rappresentano e che spezzi la logica di «casta» che, a ragione o a torto, è percepita come la dominante dell’attuale Palazzo della politica.Dal recentissimo convegno di «Todi 2» emerge l’idea che il mondo cattolico non ha bisogno di una nuova «balena bianca» ma piuttosto di una «casa comune» con i laici. Quali sono le condizioni perché questa diventi una strada percorribile?Tanta onestà. Onestà reciproca tra laici cattolici. Onestà nel riconoscere ciò che davvero vale per l’Italia e per l’Europa, e per il loro ruolo nel mondo. Onestà nei programmi e nei comportamenti. Onestà nel rinnovamento delle vecchie e vuote forme-partito. Onestà nello spiegare al Paese che è cominciato un tempo nuovo, la «stagione dei doveri» evocata da Aldo Moro in un memorabile, molto citato e pochissimo ascoltato discorso. E poi ci vuole amore. Qualcuno sorride, quando lo dico e scrivo. Ma non ci sono vie di mezzo: o la politica per un cristiano e i suoi compagni di strada è «la più alta forma della carità», come la definiva Paolo VI, o presto o tardi diventa una cosa sbagliata e anche repellente. Non ci si può rassegnare a questa deriva.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: