giovedì 10 settembre 2015
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È come quando si va in bicicletta. Se scende la catena la bici non va più e ci si deve sporcare le mani. Anche nella catena distributiva alimentare c’è qualcuno con le mani sporche. Che non sono quelle delle migliaia di zappatori e raccoglitori costretti a sporcarsi di terra per pochi euro al giorno sotto al sole cocente delle estati italiane. E non sono nemmeno esclusivamente quelle dei "caporali", i nuovi schiavisti agricoli. La catena distributiva alimentare è infatti molto lunga. «In testa c’è oggi la Grande distribuzione organizzata. E, come spesso succede, siamo proprio noi, i cosiddetti pesci grossi, a finire nell’occhio del ciclone, a giocare il ruolo dei cattivi – dice il presidente di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigli – e di quelli che calpestano le regole e i soggetti più piccoli e indifesi. Sospettati, addirittura, di avere qualche vaga e indiretta responsabilità nello sviluppo della pratica del caporalato e nello sfruttamento della mano d’opera in agricoltura, imponendo prezzi troppo bassi. La Grande distribuzione è invece l’anello forte e virtuoso della catena distributiva alimentare, che rappresenta per il 50%. Gli anelli deboli sono altri».A cosa si riferisce, presidente?Nella lunga filiera dell’agroalimentare esistono degli spazi grigi che partono certamente dal gravissimo fenomeno del caporalato, per combattere il quale non c’è altro che l’intervento delle forze dell’ordine. Per porre fine a questo fenomeno serve la linea dura delle autorità. Non si possono mettere in galera i responsabili e poi farli uscire dopo due giorni. Gli strumenti ci sono, basta applicarli e far rispettare la legge. Un fenomeno che è però spia di una piaga profonda...Certo, alla base c’è il bisogno di centinaia di migliaia di persone sotto la soglia di povertà di lavorare a qualsiasi condizione. E oggi non sono soltanto stranieri, ma anche tanti italiani vittime della crisi. I dati Istat del 2013 dicono, del resto, che in Italia ci sono 2.800.000 lavoratori in nero, con punte rilevanti nel Sud Italia. La Grande distribuzione in cima alla catena, il caporalato in fondo, diceva. E in mezzo?Partendo dal basso, nella filiera produttiva ci sono gli agricoltori, l’industria alimentare, l’ingrosso, i mercati ortofrutticoli, il dettaglio, gli ambulanti e noi. La Gdo acquista soltanto da fornitori certificati. Abbiamo sottoscritto un protocollo di legalità con il Ministero degli Interni proprio per avere e dare informazioni sulla qualità dei nostri fornitori. Ma non possiamo certo garantire su tutta la filiera. Non possiamo sapere cosa avviene alle 3 di notte in un mercato ortofrutticolo, se tutto si svolge insomma in maniera regolare. Noi, con il nostro 50% del mercato alimentare e i severi controlli che abbiamo, siamo alla fine della catena e non possiamo certo dare garanzie sugli altri anelli. In cosa consistono i controlli di cui parla?Nella Gdo si arriva a due controlli al mese per singolo punto vendita da parte delle Asl, della Guardia di Finanza e dei Nas. Ma, mi chiedo, quanti ne vengono fatti agli altri livelli della filiera? Altra nostra garanzia è la qualità dei prodotti con controlli esasperati fatti anche da noi stessi, a partire dai prodotti di nostro marchio privato. Garantiamo assoluta sicurezza poi ai nostri oltre 220mila lavoratori e in questi anni di crisi abbiamo soprattutto garantito prezzi contenuti ai consumatori, contrastando la crisi economica. Un comportamento virtuoso.Senso di responsabilità o semplicemente esigenze di mercato?Certo, i prezzi bassi che abbiamo mantenuto in questi anni rientrano nella logica della concorrenza. Ma c’è stata in ogni caso grande attenzione verso le famiglie italiane. Nel 2014 abbiamo offerto ai consumatori prodotti in promozione per un valore di quasi 7 miliardi, cioè il 28% delle nostre vendite. Una politica che ci è costata parecchio in redditività, tanto che alcune nostre aziende hanno registrato perdite consistenti e il settore, nel 2013, ha avuto in generale un utile netto sul fatturato pari al -0,1%. È andata meglio l’anno scorso? Le imprese associate a Federdistribuzione, con i loro oltre 15mila punti vendita, hanno realizzato nel 2014 un giro di affari di 61,7 miliardi di euro e un ammontare di Iva raccolta pari a 16 miliardi. Non poco se si considera che allo Stato mancano ogni anno 30-35 miliardi di Iva e l’evasione fiscale arriva a 120-130 miliardi l’anno. In Italia gli operatori della Gdo sono tanti, oltre 50. E la concorrenza è spietata. All’estero la situazione è diversa?In Francia, per esempio, è molto più difficile farsi la guerra sui prezzi perché gli operatori sono soltanto quattro. Ma adesso il grande pericolo per noi, ma anche per il piccolo dettaglio e per gli ambulanti (cresciuti di 18mila unità dal 2010 al 2014 per un totale di 190mila) è un altro. Sempre più minaccioso.A che cosa si riferisce?All’e-commerce. Amazon ha da poco allargato anche agli alimentari la sua offerta online. Una modalità commerciale di acquisto che catturerà sempre più giovani e potrebbe diventare in futuro una nuova grande distribuzione. Ora aspettiamo una legge sulla concorrenza promessa entro fine anno, come ha annunciato il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Purché non sia solo un decalogo a uso e consumo dei vari potentati.
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