martedì 11 dicembre 2012
Un ex dirigente comunale: 50 milioni di spesa per il progetto, ma ne arrivarono solo dieci. La procura chiede il mandato d'arresto europeo per Fabio Riva
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La Procura di Taranto ha chiesto al gip titolare dell’inchiesta “Ambiente Venduto”, Patrizia Todisco, un mandato d’arresto europeo per Fabio Riva, vice presidente dell’Ilva, attualmente latitante. Per il figlio di patron Emilio, ai domiciliari, sarebbero dovute scattare le manette già il 26 novembre scorso per associazione a delinquere. La Guardia di Finanza, incaricata della notifica dell’atto restrittivo, non ha però potuto eseguirlo. Solo qualche giorno fa, gli avvocati dell’imprenditore hanno fatto sapere che il loro assistito si trova a Londra ed è disposto a consegnarsi alle autorità inglesi. Da qui l’atto dovuto della Procura, che ha formulato un nuovo mandato d’arresto alla titolare dell’inchiesta sul rapporto tra poteri forti del territorio e grande industria. Intanto continuano a far discutere le dichiarazioni del ministro per l’ambiente Corrado Clini che, intervistato da Sky, ha parlato di "delocalizzazione" degli abitanti del quartiere Tamburi, la cui salute è maggiormente compromessa dalle emissioni inquinanti del colosso dell’acciaio. «Se un impianto provoca un pericolo per la salute – ha commentato l’assessore regionale all’ambiente Lorenzo Nicastro – è su quell’impianto che si deve intervenire non certamente sugli insediamenti umani. Un’evacuazione mi pare un ulteriore affronto alla vita di difficile convivenza con gli impianti che i tarantini hanno avuto sino ad ora. Il tutto per quale obiettivo? Quello di continuare ad anteporre al bene dei cittadini la produttività degli impianti?». «Cosa proporrà il ministro quando si dimostrerà – chiedono le promotrici del comitato “Donne per Taranto” – che le emissioni inquinanti compromettono la vita, al pari dei Tamburi, nel resto della città di Taranto? Deporterà tutti i tarantini?». «L’ipotesi di trasferire altrove le famiglie - sottolinea provocatoriamente Fabio Matacchiera, presidente del “Fondo antidiossina onlus” – deve essere presa in seria considerazione, contestualmente al fatto che tutti gli impianti che hanno causato questo disastro ambientale e sanitario, debbano essere immediatamente fermati e che i responsabili risarciscano i danni arrecati alla popolazione». Clini ieri ha rettificato le agenzie di stampa, riferendo di non aver parlato di evacuazione ma di delocalizzazione e di averne discusso con il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno. Infatti è dal lontano 2003 che in città si pensa alla riqualificazione della zona nei pressi dell’Ilva ed all’insediamento di nuovi abitati lì dove al momento persistono le case peggio messe, le cosiddette “case parcheggio”. «Nel 2005 – ci ha raccontato l’allora dirigente comunale del settore, l’architetto Vincenzo De Palma – all’interno del più ampio «progetto coordinato per il risanamento del quartiere Tamburi», si pensò a dei sottoprogetti tra cui la foresta urbana, ed un polo di quartiere a destinazione mista, che prevedeva impianti sportivi ed oltre 200 alloggi di edilizia residenziale popolare, tra cui quelli sostitutivi delle “case-parcheggio”». Nel 2007 con Taranto già commissariata per dissesto, il progetto, scorporato dalla costruzione delle abitazioni, divenne oggetto di un accordo di programma tra Stato e Regione, con beneficiario il Comune di Taranto, che avrebbe dovuto ricevere 49,4 milioni di euro per attuare opere di riqualificazione di Tamburi, come ad esempio il lungomare terrazzato. Di quei soldi solo 10 milioni sono stati stanziati davvero, utilizzati per l’area mercatale, il resto non si sa dove sia finito. «Se abbiamo ancora possibilità di fare qualcosa – ha chiosato De Palma – ripartiamo da progetti di caratterizzazione e bonifica dei Tamburi, a patto però che contestualmente si attui davvero l’Aia. Non si può bonificare sapendo che l’industria continua ad inquinare».
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