mercoledì 13 luglio 2016
Il questore del blitz: «Così ho catturato Bernardo Provenzano»
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​Con la morte, oggi, di Bernardo Provenzano, esce di scena uno dei capi mafia più temuti e sanguinari. Quando venne arrestato, l'11 aprile 2006, Due giorni dopo, il 13 aprile su Avvenire comparve questa intervista al vicequestore aggiunto di Polizia, Renato Cortese.«Quando ho incrociato il suo sguardo sorpreso, sono stato certo. Per anni ho avuto il suo volto davanti negli identikit. Ha provato a chiudere la porta a vetri, ma io e il resto della squadra l'abbiamo sfondata. Allora ha abbassato le braccia, sussurrando: non sapete l'errore che state commettendo». È l'epilogo della caccia, raccontato dall'uomo che dal 1998 l'aveva condotta in silenzio, ombra fra le ombre, sulle tracce del capo di Cosa nostra. Il «cacciatore» è il vicequestore aggiunto di Polizia, Renato Cortese, a capo della squadra di 30 poliziotti  del Servizio centrale operativo e della Mobile palermitana, incaricati di stanare Provenzano. Hanno passato 8 anni sulle orme del fantasma di "Binnu u tratturi", pedinando familiari, affiliati e postini. Mancandolo per un soffio più volte, come nel 2001 nelle campagne di Mezzojuso («Sapevamo che nel casale c'era un malato di prostata: pensavamo a lui e invece trovammo Benedetto Spera»), fino a martedì, quando lo spettro si è materializzato e gli «acchiappafantasmi» della Polizia gli hanno messo le manette. Cortese ha la barba scura e i capelli ricci come i suoi avi della Calabria magnogreca, ha 42 anni (lo "zu Binnu" era già uccel di bosco un anno prima che nascesse), ma di boss ne ha scovati altri: da Brusca a Spatola, da Vitale ad Aglieri, la cui cattura gli valse una promozione per meriti straordinari. Ora forse gliene toccherà un'altra: «Non so - sorride -. Piuttosto, ci ha fatto piacere la valanga di attestati di stima che sta giungendo in questura a Palermo. Non eravamo abituati».In una e-mail c'era scritto: magnifici sbirri!
Già. E ci ha colpito l'accoglienza riservata dalla folla a Provenzano: fischi e epiteti che mostrano che il sentimento della gente comune sta cambiando, che la mafia è vista come il Male e non come un potere a cui appoggiarsi.La rinascita dovrà fare i conti con l'altra Sicilia, quella dell'omertà: Provenzano lo avete trovato a Corleone, a pochi chilometri da casa. Dov'era stato in questi 43 anni?A parte il  viaggio per le cure a Marsiglia, quasi sempre in Sicilia. Per i boss, è regola fondamentale mantenere il contatto col territorio. Spostarsi dalla propria terra è un segno di debolezza che un capo come Provenzano non poteva mostrare. Per il procuratore Piero Grasso, le indagini hanno rivelato una vasta rete di coperture, a livello mafioso, imprenditoriale, politico... È stata una lunga investigazione, con molti filoni, che speriamo conducano presto ad altri risultati. Quando siete stati certi che in quel casolare c'era lui?Da mercoledì 5 aprile avevamo messo gli occhi su quella masseria. La catena di "postini" sorvegliati ci aveva portato lì. Ma poteva anche essere disabitata: nessuno usciva fuori. Abbiamo sorvegliato a distanza con microtelecamere, aspettando gli eventi. Una settimana dopo, il blitz. Perché  solo allora?Perché martedì 11, prima delle 9, qualcuno ha messo fuori un sacchetto bianco: una conferma che il casale era abitato. E alle 10 è arrivato un uomo a noi noto, con un pacco per l'inquilino misterioso. Allora ho fatto scendere un furgone con 20 uomini. E siamo entrati dentro.
Dopo, qual è stato il suo primo pensiero?Ho pensato che era andata bene, che potevamo mandare in archivio 8 anni di lavoro duro, notte e giorno, senza riposi né ferie. Ho pensato ai miei uomini, ai sacrifici imposti a noi stessi e alle famiglie per arrivare al risultato. E poi ho pensato anche ad altri: a poliziotti di altissimo valore che lavorarono alla Mobile di Palermo: uomini come Boris Giuliano, Beppe Montana, Ninni Cassarà e altri ancora. La mafia li ha uccisi, è vero, ma ignora che la loro eredità si respira ogni giorno nei nostri uffici. Ecco, questa vittoria dello Stato non è solo nostra. Appartiene anche a loro.                           
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