martedì 24 febbraio 2015
​​Il capo della Dna Roberti critica tutti i governi e «i silenzi della Chiesa». La presidente dell'Antimafia Bindi respinge «giudizi sommari».
LA TESTIMONIANZA L'antimafia feriale e senza clamori che cambia la vita (Marco Iasevoli)
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La corruzione in Italia «non è mai stata efficacemente combattuta perché non era considerata un reato grave, ma anzi per troppo tempo tacitamente accettata e la mafia se n’è servita». E per questo «è dilagata, perché mafioso e corrotto hanno un terreno comune: arricchirsi». Parole durissime quelle del procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, che al Senato ha presentato la Relazione annuale della Dna, assieme alla presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi. Un documento che proprio sulla corruzione non fa sconti a nessuno schieramento politico. Perché, si legge, mentre «negli ultimi venti anni si è fatto molto contro la criminalità mafiosa...il contrasto alla corruzione e alla criminalità economica non è mai entrato nelle strategie e negli obiettivi di alcun governo». Anzi, «vi è stato un deciso arretramento su questo fronte quando sono state assicurate ampie prospettive di impunità per il falso in bilancio, che è la premessa di ogni accumulazione di denaro nero finalizzato al pagamento delle tangenti a politici e mafiosi». Accuse molto nette di taglio "politico", anche se Roberti le definisce «valutazioni tecniche», ma non le uniche perché il procuratore denuncia anche, «e lo dico da cattolico», le responsabilità della Chiesa «che avrebbe potuto fare moltissimo» nella lotta alle mafie «ma per troppo tempo non lo ha fatto ed è stata in silenzio. Anche dopo l’invettiva di Giovanni Paolo II nella valle dei templi o dopo le uccisioni di don Puglisi e don Diana: reazione zero. Solo ora si è mossa con Papa Francesco che ha scomunicato i mafiosi. Speriamo bene...». Accuse che Rosy Bindi ha in parte ammorbidito. «A fronte di chi è stato in silenzio c’è stato un esercito di persone che nella Chiesa ha detto "no" alle mafie. Ora Papa Francesco ha reso ragione a chi ha resistito al potere mafioso anche se si fa ancora fatica ad ammettere che il male è tra noi». E sempre dalla presidente dell’Antimafia è arrivata una replica a «giudizi sommari» sulle responsabilità della politica nella lotta alla corruzione, in particolare per le norme citate da Roberti. «Quelle leggi sbagliate portano i nomi, i cognomi e i voti di chi governava prima mentre altri denunciavano i danni che avrebbero provocato». Precisazione che il procuratore raccoglie. «Riconosco che proposte migliorative ci sono e sono buone. C’è solo da augurarsi che siano portate fino in fondo. Ma servono altri strumenti importanti e urgenti: la modifica della prescrizione, le attenuanti per chi collabora, la previsione di "agenti provocatori" contro i corrotti, e la riforma dell’Agenzia per i beni confiscati. Ma soprattutto – aggiunge con forza – bisogna intervenire sul processo penale che è insopportabilmente lungo».Di strettissima attualità è un’altra denuncia del procuratore. La tratta degli esseri umani, avverte, costituisce «probabilmente un serbatoio di finanziamento per le organizzazioni terroristiche», per questo «dopo i gravissimi fatti di Lampedusa abbiamo messo attorno ad un tavolo tutte le procure distrettuali interessate dal fenomeno e le forze dell’ordine. E ora stiamo elaborando nuove linee guida per potere efficacemente contrastare questi traffici». Ma la Dna nella lotta al terrorismo corre il rischio «di non avere le braccia per poter muovere le mani». Infatti il decreto che ha trasferito alla Procura anche le nuove competenze, ha escluso il potere di coordinamento sui servizi centralizzati di polizia giudiziaria ritenuto «invece essenziale». Per questo, ha concluso Roberti, «chiediamo la modifica in sede di conversione in legge».
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