sabato 5 novembre 2011
​«Nessuna vita ci è straniera». Il titolo del 31° convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita, che si è aperto ieri a Firenze richiama un dato numerico importante: delle oltre 35mila donne assisistite nel corso del 2010 nei 331 Centro di aiuto alla Vita attivi in Italia, l’82% erano straniere.
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«Nessuna vita ci è straniera». Il titolo del 31° convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita, che si è aperto ieri a Firenze richiama un dato numerico importante: delle oltre 35mila donne assisistite nel corso del 2010 nei 331 Centro di aiuto alla Vita attivi in Italia, l’82% erano straniere. Vent’anni fa, nel 1990, le donne straniere erano state appena il 16%.Una percentuale, ha spiegato il Presidente del Movimento per la Vita Carlo Casini nella sua relazione introduttiva, che nasce dai mutamenti sociali in corso nel nostro Paese, ma che non è prova di una diminuzione del ricorso all’aborto tra le donne italiane. Anche perché, ha ricordato, nelle statistiche purtroppo non rientra «l’aborto chimico precocissimo, tanto clandestino da essere non conoscibile».Ma il concetto di estranietà intorno a cui ruota il convegno non riguarda solo il fattore, per così dire, geografico. Il più “straniero” di tutti gli stranieri incontrati nei Centri di aiuto alla vita, ha affermato ancora Casini, è «il figlio abortito, totalmente escluso non da una particolare nazione ma dall’intera comunità degli uomini». Respinto non solo fisicamente, ma anche «dal pensiero, dal diritto, dalla cultura, dalla politica». L’impegno dei Centri di aiuto alla vita quindi è di ricordare all’Europa che ogni bambino concepito «è uno di noi» e che «tutti gli esseri umani sono uguali, fin dal concepimento».Un concetto, questo dell’uguaglianza, ripreso anche da Giuseppe Anzani, magistrato e vicepresidente del Movimento per la vita. L’uguaglianza, ha affermato nel suo applauditissimo intervento, può essere proclamata, affermata, messa per scritto nelle leggi. Ma se non viene realizzata all’interno delle relazioni tra esseri umani, resta una bugia. Se il bambino concepito non trova un grembo accogliente, il suo diritto alla vita è nullo; la sua uguaglianza con noi, con le altre persone, è di fatto negata. L’aborto, ha concluso, è una ferita aperta che crea «stranieri, espulsi dalla vita, dall’esistenza». La legge allora dovrebbe mirare a prevenire, a scongiurare, a impedire tutto ciò. Oggi, ha detto, è impraticabile una abrogazione della legge 194, ma «deve rimanere il grido di una ferita che portiamo dentro».Prima delle relazioni c’è stato anche il saluto dell’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, che ha ricordato come il primo Centro di aiuto alla vita d’Italia, intitolato a Maria Cristina Ogier, sia stato fondato proprio a Firenze. La storia fiorentina, ha sottolineato, è piena di «iniziative che poi sono diventate istituzioni, dettate dal senso di solidarietà, dall’attenzione alla persona nella sofferenza, dalla cura per la vita nascente». Alla tavola rotonda sono intervenuti anche Francesco D’Agostino, giurista e presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica, e don Salvatore Vitiello, docente di Teologia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma. Significativa anche la testimonianza della slovacca Anna Zaborska, parlamentare europea che si occupa in modo particolare di famiglia e diritti dell’infanzia. Ha ricordato il recente pronunciamento della Corte di giustizia europea, secondo cui la vita comincia dal concepimento. L’embrione quindi, ha sottolineato, «ha dignità umana ed è portatore di diritti: i governi nazionali devono rispettare questo principio». Quando si parla di «pari opportunità», ha quindi aggiunto, dovremmo pensare alla vita nascente, che non ha voce e a cui queste opportunità non sono garantite.
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