martedì 21 aprile 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
«La nostra parte non è stata fatta. L’Europa degli ultimi venti anni ha forti responsabilità per quanto sta accadendo nel Mediterraneo». Il presidente della Caritas, l’arcivescovo di Trento Luigi Bressan, passa dai toni della pietà («Provo profondo dolore per questi fratelli e sorelle che guardano a noi come al luogo della speranza. Vivono in condizioni tali che spesso affidano i minori a chi parte, che almeno il figlio possa vivere»), a quelli della denuncia: «Oggi L’Europa chiusa in se stessa è un anacronismo. Fino agli ’70 ha saputo dare il suo contributo ai Paesi in via di sviluppo, poi ha voltato il capo dall’altra parte. È urgente che l’intera Europa si attivi nelle politiche internazionali: non con un intervento armato, com’è disastrosamente avvenuto in Libia, ma come forza di pace».D’altra parte – ricorda Bressan – «se noi europei, in questo momento, abbiamo il privilegio di vivere agiatamente, lo dobbiamo in parte al fatto che noi stessi fummo accolti in altri Paesi del mondo, e in parte proprio a quel colonialismo» che ha arricchito noi e impoverito chi oggi bussa alle nostre porte.L’Africa, insomma, ci compete sia per posizione geografica che per le vicende storiche, e chi soffia sul fuoco della xenofobia non ricorda il nostro stesso passato, ma nemmeno quello più recente di altre regioni del mondo, più povere ma anche più accoglienti di questa Europa distratta: «Penso al milione e mezzo di rifugiati che la sola Thailandia seppe aiutare all’epoca della guerra del Vietnam. Anche noi abbiamo un cuore accogliente e la solidarietà è scritta nel nostro Dna, non soffochiamola». La nostra vera natura si è vista durante Mare Nostrum, «operazione che a noi italiani ha fatto onore, prima che Triaton la riducesse al minimo... I numeri ormai parlano chiaro, è finalmente evidente che l’operazione Mare Nostrum non incentivava le partenze, oggi aumentate insieme alle stragi».Ecco perché la Caritas, in linea con gli appelli di Papa Francesco, non si lascia spaventare dall’aumento del bisogno, anzi, «stiamo potenziando i luoghi in cui già facevamo accoglienza». Due gli obiettivi immediati, l’assistenza di chi arriva e non ha nulla, l’integrazione: «Perché possano lavorare e mettersi a servizio dell’intera comunità», spiega l’arcivescovo, «dobbiamo pensare a un visto umanitario. Per il visto da rifugiati occorre troppo tempo, nel frattempo che sarebbe di loro?». E prima ancora, durante il viaggio "della speranza" che per troppi diventa invece disperazione e morte, bisogna che l’Europa riapra quei canali regolari di ingresso, dopo la fine del Decreto flussi che ha interrotto ogni possibilità di arrivare in Europa in sicurezza e legalmente: «I criminali scafisti si combattono solo sottraendo loro le folle di disperati che oggi si mettono nelle loro mani pur di fuggire».Nel frattempo, mentre il mondo discute e si interroga, costretto suo malgrado a vedere le migliaia di morti che il mare non ha nascosto nei fondali, la Chiesa italiana resta in prima linea attraverso tutte le Caritas del Paese garantendo un pasto e un tetto attualmente a 5.000 migranti ogni giorno, ma anche nel suo ruolo educativo: «Tocca a noi ricordare a chi lo dimentica volentieri che siamo tutti una famiglia umana, scuotere le coscienze di chi siede nelle stanze dei bottoni e può decidere, gridare per chi non ha voce, perché se questi uomini e donne affrontano viaggi così spaventosi significa che dove sono non c’è vita». In particolare dal 2011, quando la guerra in Siria ha creato la catastrofe umanitaria più destabilizzante al mondo, la Caritas italiana ha finanziato progetti per 1.900mila euro in Siria, Libano, Giordania, Turchia, anche grazie a un contributo della Cei di un milione di euro e ai fondi dell’8 per mille. L’intera rete Caritas, solo nel 2014, ha aiutato oltre 1 milione e 200mila persone in Iraq, Siria, Libano, Turchia e Giordania... «Il 27 aprile abbiamo una riunione di presidenza della Caritas italiana che era già prevista ma ora diventa strategica: la Bibbia cita la parola accoglienza duecento volte, solo 25 volte la parola comandamenti – conclude Bressan –. Per noi cristiani è l’accoglienza il grande comandamento. Ero straniero e mi avete accolto, ci sarà detto nel Giudizio universale e fin dai tempi di Caino la domanda che ci verrà posta è sempre quella: dov’è tuo fratello? Non potremo dire: non lo so».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: