lunedì 20 gennaio 2014
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Le mafie uccidono anche i bambini e non da oggi. Non solo il piccolo Cocò, ucciso e bruciato probabilmente per eliminare un testimone. Testimone a 3 anni, dopo aver respirato a pochi mesi l'aria di una cella assieme alla mamma. E poi incredibilmente affidato al nonno pregiudicato e agli arresti domiciliari. Davvero questa piccola morte "è una sconfitta di tutti noi" come ha detto il vescovo di Cassano all'Jonio, monsignor Nunzio Galantino. Così come quelle di Giuseppe Di Matteo, sciolto nell'acido da "cosa nostra", o del piccolo Dodò colpito da una pallottola mentre giocava a pallone a Crotone o ancora le tante giovani vittime delle faide calabresi. Uccisi da piccoli per non averli come nemici da grandi. È purtroppo un classico della storia della 'ndrangheta. Quasi un destino segnato, o boss o ammazzato per evitare che diventi tale. Così crescono nell'odio e nella violenza. O ne sono vittime. La Chiesa ha più volte tentato di spezzare questo destino, accogliendo quei giovani che volevano davvero cambiare vita e futuro, arrivando a portarli fisicamente in altre zone d'Italia. Iniziative non sempre coronate da successo. Bisogna insistere con "parole e comportamenti chiari sulla legalità e la difesa della vita" sono ancora le parole del vescovo. La 'ndrangheta ha sempre ucciso donne e bambini, ha gettato uomini tra i maiali, ha obbligato ragazze a uccidersi con l'acido, ha sequestrato e non più restituito neanche i corpi dei rapiti. Purtroppo non è una drammatica novità. Ma alcuni anticorpi stanno crescendo. Non solo parole. Ieri i giovani della cooperativa Valle del Marro che coltiva terreni confiscati hanno nuovamente affrontato in tribunale il boss Saro Mammoliti accompagnato dall'ultimo dei suoi figli, non più di 8 anni. Tra i ragazzi della cooperativa anche parenti di mafiosi. Scelte diverse, perché è possibile anche nella Calabria sgomenta per il dramma del piccolo Cocò.
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