martedì 1 marzo 2016
​I giudizi forzano la norma sulle adozioni e riconoscono due compagne come madri.
Stepchild per sentenza, oltre la legge
COMMENTA E CONDIVIDI

Stepchild adoption per le coppie dello stesso sesso: mentre l’Italia discute se introdurla con una legge, il Tribunale per i minori di Roma la dichiara con sentenza. Non è la prima volta che ciò accade. Ma la pronuncia di ieri ha una particolarità: pur unica, è scaturita da due ricorsi incrociati di altrettante donne (italiane, conviventi da oltre 10 anni), ognuna delle quali aveva partorito una bimba concepita con fecondazione artificiale in Danimarca. Questo il verdetto di primo grado, dunque ancora impugnabile dal pubblico ministero: la responsabilità genitoriale delle piccole è stata posta in capo a entrambe le madri. E le figlie – ora di 4 e 8 anni – hanno acquisito lo stesso doppio cognome. Ma non sono diventate sorelle: «L’adozione – spiega Francesca Quarato, il legale di Rete Lenford che ha seguito l’iter giudiziario – è stata pronunciata sulla scorta della legge 184/83, articolo 44, lettera d)». Una previsione che opera solo nei cosiddetti «casi particolari», e che attua un’adozione non legittimante: la nuova famiglia non sostituisce la precedente ma vi si affianca secondo una libera decisione delle parti. La norma utilizzata dai magistrati minorili consente questo tipo di filiazione qualora sia stata accertata l’impossibilità di affidamento pre-adottivo. Situazioni tipiche di questa fattispecie sono quelle di bimbi con gravi handicap o in condizioni tali per cui non esistano coppie in grado di accoglierli. Ma non è certo il caso romano, dove l’assenza di questo requisito era dovuta al fatto che entrambe le bimbe avevano e hanno una madre in grado di accudirle. Mancando lo stato d’abbandono non vi era dunque possibilità di procedere all’adozione. E ancora prima di pensare a un affidamento pre-adottivo. Ma proprio su questo hanno fatto leva i giudici: siccome per le minori non era praticabile l’affidamento allora avrebbe potuto operare l’adozione «in casi particolari». Curioso ragionamento, quello del Tribunale. E, tra l’altro, potenzialmente idoneo ad aprire a chiunque questo istituto giuridico. Con l’ovvio effetto di snaturarlo. Ma se questo è il passaggio più tecnico della pronuncia, altri sgorgano da un’analisi della situazione di fatto in cui vivono le bambine. «Il Tribunale – prosegue Quarato – ha ritenuto di tutelare il legame genitoriale intercorrente tra ogni bambina e la propria madre sociale». Vale a dire la convivente della madre vera. «Un legame già esistente – precisa l’avvocato –, e per cui noi abbiamo semplicemente chiesto la tutela». Nel caso specifico, i giudici hanno dato rilevanza anche al fatto che le due piccole erano nate in un progetto genitoriale di coppia, entrambe volute dalle due donne quando già era iniziata la loro relazione. Ma con altrettanta evidenza, hanno ritenuto che l’assenza della figura paterna non avrebbe avuto ripercussioni sulla loro crescita. Per sottolineare la bontà della sentenza Quarato racconta che le bimbe «vanno a scuola, hanno tanti amici, e frequentano famiglie di tutti i tipi». Ma che si tratti di una pronuncia "creativa" lo ammette persino la presidente di Rete Lenford, Maria Grazia Sangalli: «L’adozione da parte di queste coppie – spiega – è possibile interpretando la normativa in vigore in senso ampio ed evolutivo». Le sue parole cozzano però con il principio fondamentale dello Stato di diritto, nel quale ogni potere – dunque anche quello giudiziario – deve rimanere assoggettato alla legge vigente. Lenford giustifica questo attivismo giudiziario con «la mancanza di una normativa» per le adozioni gay. Ma la disciplina della filiazione non biologica già esiste. E prevede che i piccoli debbano essere accolti in una famiglia con mamma e papà. Nonostante questo, alcune magistrature stanno decidendo in senso opposto. Ad aprire la via era stato proprio il Tribunale minorile di Roma, che aveva pronunciato la prima stepchild adoption tra persone dello stesso sesso nell’agosto 2014. La sentenza è stata poi confermata in appello lo scorso dicembre. Nello stesso mese la Corte d’appello di Milano aveva ribaltato una precedente sentenza del tribunale minorile, riconoscendo una stepchild pronunciata in Spagna: in questo caso, la famiglia era composta da due donne sposate e poi divorziate. Dello stesso tenore sono anche altre pronunce. Ma è una prospettiva totalmente diversa da quella disegnata dalla Consulta: il "giudice delle leggi", già nella celebre sentenza 138 del 2010, aveva chiarito come la responsabilità genitoriale fosse propria solo delle coppie eterosessuali. Così accade in natura, e così dice la nostra Costituzione.

>> RIFORMA DELLE ADOZIONI, IL PD ACCELERA

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: