venerdì 1 luglio 2016
​Chi aspetta, chi lotta, chi vuol fare causa allo Stato. le storie di Chiara, Nancy e Vanessa.
Femminicidio, la rivincita delle figlie coraggio
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C’è chi lo ha tenuto per sé per 15 anni, il più terribile dei segreti. Poi, quando è rimasta incinta, Chiara non ha voluto più saperne e ha deciso di aderire al progetto Switch-off «per aiutare, per far sì che gli altri come me stiano meglio». Il racconto di quel pomeriggio, in casa, con le urla e il sangue, è straziante. Poi lo sguardo si posa sul pancione: «Il male che ho subito lo trasformo in amore adesso ». La bimba porta già il nome della sua nonna, Veronica. Nancy invece ci mette la faccia, lo ha detto a tutte le televisioni e ai giornali e non smette di ripeterlo: «Perché lo Stato non è intervenuto subito quando mia madre chiedeva aiuto? Perché lo Stato non è intervenuto nella mia casa il giorno dopo aver perso i miei genitori?». Era il 13 agosto 2013 e ad Avola, in provincia di Siracusa, suo padre imbracciò il fucile, uccise mamma Antonella e poi si sparò. Il tutto davanti agli occhi del figlio di 4 anni, il minore di tre. La battaglia di Nancy è iniziata lì e continua ancora: perché sua mamma aveva denunciato il padre, «e quell’omicidio poteva essere evitato». E perché «per i figli dei femminicidi, proprio come per le vittime del terrorismo o della mafia, serve un fondo che garantisca il sostegno psicologico». La ragazza, che ha 22 anni e studia giurisprudenza, lo ha chiesto alla Regione Sicilia, ha trasformato le sue richieste in proposte di legge, pensa di fare causa allo Stato per ottenere un risarcimento: «Per le vittime dell’amianto la recente legge di stabilità ha previsto un fondo di 30 milioni di euro. Perché noi dobbiamo continuare ad essere abbandonati? ». Una vittoria invece Vanessa l’ha ottenuta, nel 2011: quella con cui è stato abolito il diritto alla pensione di reversibilità per gli uxoricidi. Per legge. Appena tornato in libertà dopo aver scontato la pena per l’omicidio di sua mamma, avvenuto a Nuoro nel 1998, suo padre infatti chiese e ottenne la pensione della moglie uccisa, che era l’unica fonte di reddito per la ragazza. La sua denuncia finì su tutti i giornali, la sua battaglia colpì giuristi e parlamentari fino all’approvazione della norma. Che – unico limite – vale soltanto per le sentenze passate in giudicato. Lo scorso 11 maggio a Montecitorio è stato presentato un altro progetto di legge che riguarda i figli delle vittime uccise dal coniuge, dal deputato Roberto Capelli (Cd) e dalla sua collega Annamaria Busia, in passato proprio avvocato di Vanessa. Il testo prevede il gratuito patrocinio legale agli orfani di femminicidio (come previsto dalla legge sullo stalking), la provvisionale e il sequestro conservativo dei beni dell’omicida (in modo che evetualmente dopo sentenza questi possa risarcire i figli) e la proposta di indegnità a succedere, cioè l’esclusione automatica dall’eredità dei beni del coniuge nel caso lo si abbia ucciso (senza bisogno che i figli intentino una causa civile per ottenerlo). La legge, tra l’altro, vorrebbe anche estendere quanto previsto da quella del 2011 su reversibilità già a partire dalla richiesta di rincio a giudizio dell’indagato, anticipando gli esiti della sentenza di condanna. Per l’occasione Vanessa è venuta in Italia dall’Inghilterra, dove ora vive. E dove studia per diventare una criminologa.
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