sabato 11 ottobre 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Si sapeva prima, che gli italiani vivono in un territorio a rischio. E lo sapremo anche tra qualche mese, quando non si parlerà più del Bisagno. Si sapeva prima di Olbia (2013), di Genova (2011) di Atrani (2010), di Messina (2009): la difesa del suolo è da anni una litania di distruzione e di morte. Con l’aggravante che le informazioni sulle criticità sono note a tutti. Secondo la Protezione civile l’82% dei Comuni ricade in aree ad alto rischio idrogeologico: 6 milioni di italiani, 22 se si considera il rischio medio, vivono sotto la minaccia di una frana o di un’alluvione. Per loro, finora, lo Stato non ha fatto molto. Quello che fa il governo Renzi lo annuncia via web: su italiasicura. governo.it  si può consultare lo stato di avanzamento dei cantieri aperti e il sito passodopopasso.governo.it presenta «il primo database degli ultimi 15 anni di investimenti pubblici per la difesa da frane e alluvioni». Con una goccia di veleno: in base alle risorse assegnate a Regioni ed Enti locali opere e interventi «dovevano essere già conclusi». La tesi è che non tutti i governi sono uguali. Effettivamente, se all’indomani del disastro di Messina il centrodestra cancellò il dipartimento da cui dipendeva la difesa del suolo, qualche settimana fa Renzi ha varato un’unità di missione ad hoc per drenare 2,4 miliardi di euro che serviranno ad aprire 3mila cantieri. Valore totale di 3,5 miliardi. «Finalmente si volta pagina» dice Massimo Gargano, che da qualche settimana è direttore generale dell’Associazione Nazionale delle Bonifiche Italiane, dopo esserne stato a lungo il presidente. L’Anbi è l’associazione dei consorzi da cui dipende gran parte della rete irrigua nazionale: chilometri e chilometri di canali, idrovore e una competenza di alto livello in materia idraulica. In questi anni, l’Anbi è sempre stata dall’altra parte della barricata, rispetto ai governi: è suo il piano nazionale per la riduzione del rischio idrogeologico, che ogni anno viene presentato e al quale vanno solo le briciole. Sua la denuncia secondo cui «dal 2002 al 2014 si sono registrati circa 2mila eventi alluvionali che hanno determinato 293 perdite di vite umane e ancora vi sono 1.260.000 edifici a rischio frane; di questi 6.121 sono edifici scolastici e 531 ospedali». Le richieste non sono cambiate. «Per mitigare il rischio bisogna aprire 3.405 cantieri e disporre di 8 miliardi di euro, ma l’istituzione della nuova struttura governativa, fa pensare che si stia passando dall’emergenza alla protezione». Non siamo ancora alla prevenzione, ma si cambia registro: Gargano è convinto che i fondi necessari per risolvere il problema si possano trovare e che si debbano «finanziare gli interventi con mutui quindicinali della Cassa Depositi e Prestiti». Pollice verso rispetto alle nuove imposte: è di ieri la denuncia della Cgia di Mestre sull’utilizzo di quelle ambientali pagate dai contribuenti per finanziare la realizzazione delle opere di protezione ambientale e finite «da più di vent’anni a coprire altre voci di spesa». Stando ai dati Cgia sono andati a bersaglio solo 463 milioni su quasi 47,2 miliardi versati. «La prevenzione costa meno dell’emergenza – ricorda Gargano –. Parliamo di un rapporto da uno a cinque, senza contare che l’emergenza non produce solo danni ma anche vittime» ricorda. Vale anche per Genova e la Liguria: il 90% della superficie del capoluogo è a rischio, peggio sta solo La Spezia. Secondo i dati Anbi, in Liguria ci sono 112 scuole e 12 ospedali tuttora soggetti a rischio elevato. «Realizzare le opere di mitigazione del rischio che proponiamo – spiega – ha un’efficacia e lo sanno a Orvieto, dove l’anno scorso non c’è stata alcuna alluvione perché quando è arrivata la bomba d’acqua si è riempita la nuova vasca di laminazione di 70 ettari realizzata dal locale consorzio di bonifica, che ha salvato la città». Ma i cantieri non bastano ed infatti ieri il presidente dell’associazione, Francesco Vincenzi, ha difeso la proposta di legge del governo Renzi contro il consumo del suolo «perché continuare a cementificare il Paese accresce il rischio, la spesa pubblica e il numero delle vittime».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: