mercoledì 28 settembre 2016
Augusto Di Meo vide il killer di don Peppe Diana e andò dai carabinieri. Per il ministero non è un testimone di giustizia.
EDITORIALE Testimoni, con o senza bolli (Antonio Maria Mira)
Augusto Di Meo, testimone senza giustizia
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«Non si fa così, non si fa così...». Continua a ripetere queste parole Augusto Di Meo, rigirando tra le mani la risposta del ministero dell’Interno a un’interrogazione parlamentare. È il «no» al riconoscimento di testimone di giustizia. Un «no» burocratico, perché quando il 19 marzo 1994 vide il killer di don Peppe Diana e andò subito dai carabinieri, la legge sui testimoni di giustizia, la n. 45 del 2001, ancora non c’era. Augusto dunque, come si legge nella risposta del Viminale, è «testimone oculare» e viene segnalata «l’importanza del contributo del Di Meo per la condanna degli autori dell’omicidio Diana, condanna confermata dalla Cassazione nel 2004».

Una testimonianza fondamentale per individuare il camorrista Giuseppe Quadrano. Però, si legge ancora nella risposta inviata al deputato Arturo Scotto di Sel, «voglio precisare peraltro che il Consiglio di Stato, con un recentissimo parere, reso all’Amministrazio- ne per altro caso, ha espressamente escluso che si possano far retroagire gli effetti della novella del 2001 a situazioni anteriori al venire in essere del suo presupposto, e cioè l’esistenza di testimoni di giustizia».

Con don Luigi Ciotti al cimitero di Casal di Principe 

In altre parole chi ha denunciato, raccontato, parlato prima di quella legge non può essere considerato testimone di giustizia. Ricordiamo, come scrive lo stesso ministero nel documento inviato, che la legge n.45 «ha delineato la figura del testimone di giustizia prevedendo specifiche misure di tutela e assistenza. Si è inteso in tal modo – si legge ancora – valorizzare il contributo dato alla giustizia da coloro che hanno sentito il dovere di testimoniare a scapito della loro incolumità e dei loro familiari».

Di Meo alla tomba di don Diana con gli scoutTutte misure a cui Augusto Di Meo non ha mai avuto diritto, né oggi né nel passato. Anche se, spiega sempre il ministero, «sin dal 16 aprile 1994 in favore del signor Di Meo sono state disposte adeguate misure ordinarie di protezione... più volte prorogate e tuttora in atto, intensificate una prima volta, a decorrere dal novembre 1999 e più recentemente dal giugno scorso». È il riferimento alla telefonata con pesanti minacce ricevuta nella notte tra il 25 e il 26 giugno, l’ultima delle tante intimidazionie. 

Augusto con i giovani e con don Franco, parroco di San Nicola, la parrocchia di don Peppe

Ma per lui niente scorta anche se non resta chiuso in casa, incontra scuole e associazioni e tutti i giorni accompagna tante persone a pregare sulla tomba del suo amico don Peppe. «Non voglio soldi. Voglio solo che si dica che sono un testimone che non ha girato la testa, che ha fatto bene prima, dopo e durante. Ho fatto solo un piccolo gesto...», ci spiega correndo tra un servizio fotografico per un matrimonio e l’incontro con una scuola. «Ho avuto tanta solidarietà, tanta gente è venuta oggi al negozio dicendo 'con questa decisione abbiamo perso tutti'».

Augusto in una scuola

Ma quello che preoccupa di più Augusto è che torni la sfiducia tra la gente di Casal di Principe. «Qua i clan si stanno riorganizzando e allora non vorrei che si tornasse a dire 'non denunciate' ». Lui però non cambia idea. «No, assolutamente. Ho ancora tanti incontri programmati in giro per l’Italia. Io continuo a fare quello che ho sempre fatto. Lo faccia per don Peppe e per la mia terra. Però non si fa così... ». E si commuove.

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