giovedì 20 agosto 2015
L'inchiesta sulla morte di Paola Clemente, stroncata dal lavoro ​nei capanoni dell'uva in Puglia. Il ministro Martina: «Caporalato piaga inaccettabile».
Così cambia il nuovo schiavismo di Matteo Fraschini Koffi
COMMENTA E CONDIVIDI
TRANI - La morte di Paola Clemente, la 49enne bracciante di San Giorgio Jonico che ha perso la vita il 13 luglio scorso mentre lavorava nei campi di uva ad Andria, non ha ancora un perché. Sarà l’autopsia, fissata per domani, a chiarire le cause e le dinamiche del decesso dopo che la Procura di Trani ha aperto un’indagine contro ignoti per omicidio colposo ed omissione di soccorso, in seguito all’esposto-denuncia presentato dal marito della donna, Stefano Arcuri il 14 agosto. Il pm Alessandro Pesce ha disposto la riesumazione del corpo per l’esame autoptico che verrà effettuato domani. Per ora risulta indagato il tarantino Ciro Grassi, l’autista che avrebbe condotto Paola Clemente e altri braccianti ad Andria. Purtroppo si continua a morire nelle campagne pugliesi. Tre casi in un mese, mentre un altro operaio di San Giorgio Jonico, il 42enne Arcangelo De Marco, è in coma da oltre dieci giorni dopo essersi accasciato al suolo durante il lavoro di acinellatura dell’uva (togliere gli acini più piccoli per fare bello il grappolo) nel nord barese. Come la concittadina Paola, madre di tre figli, che si alzava alle due di notte e affrontava un viaggio di quasi due ore sui pullman dei 'caporali' per raggiungere l’agro di Andria dove svolgeva un’attività molto faticosa: salire su una cassetta, stare con le braccia tese e con la testa alzata per più di sette ore in modo da poter togliere l’acinino. Sotto il sole cocente, sotto i tendoni di plastica, a volte anche a stretto contatto con i fitofarmaci usati in agricoltura. Il tutto per la misera paga di 27 euro a giornata. Per Paola, per suo marito disoccupato, per i figli erano sufficienti a tirare avanti non avendo altre forme di sostentamento.  Sudore, sacrificio e magari compromessi. Perché in Puglia il capolarato è ancora radicato. Persone senza scrupoli che s’insinuano nella vita difficile e dura dei braccianti il più delle volte senza contratto o con contratti capestro, sottopagati e costretti anche a dare un compenso ai 'signori dei campi' pur di portare il pane a casa.  «Solitamente, l’acinellatura è tra i lavori pagati meno in agricoltura: 27-30 euro a giornata, nonostante i contratti provinciali stabiliscano un salario di 52 – sottolinea  Giuseppe Deleonardis, segretario generale della Flai Cgil Puglia impegnato in prima persona a far luce sul caso – . Sono condizioni davvero pesanti. I braccianti dovrebbero lavorare sei ore e mezza, ma spesso si va oltre. Tra l’altro non si tiene conto delle ore di viaggio tra l’andata e ritorno dalla provincia di Taranto. Ci sono poi incongruenze contrattuali, su orari, inquadramento e possibili forme d’intermediazione illecita. Solitamente gli operai vengono ingaggiati dalle agenzie interinali. Ma poi subentrato i caporali che li sfruttano. Arcangelo, l’operaio in coma, pagava 12 euro per il trasporto».  Uno dei nodi cruciali, secondo il Segretario generale della Uil regionale Puglia,  Aldo Pugliese, è proprio quello dei trasporti in quanto «l’assenza di una rete efficiente ed efficace fomenta il lavoro nero. Chiediamo al Prefetto di Bari di dar vita a un osservatorio regionale per stilare un programma di interventi in grado di abbattere un mostro che continua a mietere vittime innocenti».  Ma l’omertà non è facile da sconfiggere. Il procuratore della Republica di Trani, Carlo Maria Capristo, dlo ice senza mezzi termini: «Sul caporalato c’è un muro di gomma. La gente non collabora, preferisce guadagnare pochi spiccioli anziché dare informazioni, indicazioni utili alle nostre indagini finalizzate a debellare il fenomeno. L’inchiesta affidata al pm Alessandro Pesce andrà a fondo e darà giustizia alla famiglia di Paola Clemente».  E di fronte alle ripetute denunce anche il governo si muove. Il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina ha definito il caporalato, una «piaga inaccettabile » da combattere come la mafia. «In diverse zone del Paese, al Nord come al Sud, il lavoro nero e irregolare è ancora presente e ramificato in particolare in alcune filiere agroalimentari – ha detto Martina –. Occorre la massima mobilitazione di tutti, istituzioni, imprese, associazioni e organizzazioni sindacali per combattere una guerra senza quartiere».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI