domenica 28 luglio 2013
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Come sono lontani i tempi in cui i soliti profeti di sventura prevedevano che la Gmg non sarebbe sopravvissuta al suo inventore, Giovanni Paolo II. E invece Benedetto XVI prima e Francesco ora ne hanno accresciuto la già notevole eredità. Lo abbiamo visto in questa settimana che volge al termine e che avrà oggi il suo momento culminante nella messa finale sul lungomare di Copacabana. In attesa, dunque, delle parole che il Papa dirà a suggello dell’evento, non è fuori luogo provare a tirare le prime somme di un’esperienza che per numeri, entusiasmo, partecipazione e contenuti appare largamente in attivo.
Appare, infatti, lampante che fin da questo prima Gmg, Papa Bergoglio abbia impresso nell’incontro con i giovani di tutto il mondo la propria cifra stilistica, anzi la propria ecclesiologia. Un insieme di parole e di gesti che affiorano dai discorsi e dagli appuntamenti di questi giorni e che, se da un lato appaiono perfettamente in sintonia con le linee portanti di questo inizio di Pontificato, dall’altro conferiscono alla Giornata mondiale un volto nuovo che risulta dalla somma di più elementi.
L’ecclesiologia di Papa Francesco, appunto. Quella visione di Chiesa dinamica e missionaria, tratteggiata ieri anche nell’incontro con i vescovi brasiliani, che è chiamata a "uscir fuori" per portare Cristo verso le "periferie". Una Chiesa che non deve aver paura, ha detto il Pontefice, di pescare nelle acque profonde di Dio e che deve recuperare la sua capacità di «scaldare il cuore» (altra parola chiave del viaggio), evitando così il rischio che siano in molti ad abbandonarla perché da essa si sentono abbandonati e non visti.
Questa ecclesiologia ha dei riflessi concreti anche per la Gmg in quanto tale. «Nessuno è un’isola», ha ripetuto il Papa ai ragazzi che venerdì hanno pranzato insieme con lui. «Abbiamo bisogno gli uni degli altri». Parole che fanno il paio con una notazione in chiave personale inserita nel discorso di giovedì, durante la festa dell’accoglienza: «Sono venuto per confermarvi nella fede, ma anche per essere confermato dall’entusiasmo della vostra fede».
Come dire che egli applica per primo a se stesso la consapevolezza di un’identità relazionale. Il volto degli altri contribuisce a costruire il mio volto. Perciò, se nessuno è un’isola, neanche la Gmg può esserlo. Non una kermesse di categoria, non un evento chiuso in se stesso, ma una rinnovata Pentecoste dello spirito che deve spingere i giovani all’incontro anche intergenerazionale. Francesco lo ha detto chiaramente a più riprese. Le nuove generazioni devono entrare sempre di più in rapporto con il mondo dei "grandi", devono mettere in atto con i nonni, i genitori, le famiglie (più volte citati nei discorsi della Gmg), insomma con gli adulti in genere, quello scambio di doni che è necessario per la loro crescita e per il futuro stesso dell’umanità.
Gioia, entusiasmo, freschezza della fede da un lato. Saggezza ed esperienza dall’altro. Carismi non contrapposti, ma da condividere. L’immagine del Papa che entra nell’umile casa della favela di Varginha e seduto in mezzo ai suoi ospiti si informa su tutte le età e i rapporti di parentela presenti in quella famiglia, traduce forse meglio di ogni altra parola questo modus operandi (e docendi) di Francesco. Potremmo dire, in conclusione, che questa è stata la Gmg in cui il Papa ha invitato tutti a cambiare il proprio punto di vista. Con gli occhi degli altri si vedono cose che noi non vediamo. Comprese le necessità dei poveri, degli ammalati, dei carcerati (non a caso tre tappe fondamentali di questo viaggio). Se poi il nostro sguardo coincide con quello del Cristo, che come avviene qui a Rio de Janeiro, abbraccia tutti dall’alto, allora davvero sarà possibile cambiare il mondo. Questa è la Gmg di Papa Francesco. E questa Gmg, come ha detto ieri durante la veglia egli stesso, vale infinitamente di più della Coppa del mondo.
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