sabato 21 giugno 2014
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Papa Francesco ai gesti senza precedenti ci ha in un certo senso “abituato”. Ma quella che ha scritto con la visita a Cassano allo Jonio e la scomunica dei mafiosi è davvero una prima volta che resterà nella storia. Mai un Papa aveva pronunciato una simile, inappellabile condanna nei confronti degli aderenti al crimine organizzato. Nemmeno Giovanni Paolo II nel pur memorabile “grido” della Valle dei Templi. Ventun anni dopo, Papa Bergoglio è andato oltre, ha varcato il Rubicone della massima sanzione possibile per la Chiesa. E questo, mentre ci fa capire la gravità della situazione, ci dice quanto il Pontefice chiami tutta la comunità ecclesiale ad impegnarsi in una guerra – quella al male – che non può avere tregua né quartiere. Nessuna eccezione, nessun compromesso o armistizio. La mafia (con tutte le sue declinazioni territoriali) è "adorazione del male e disprezzo del bene comune – ha scandito il Pontefice -. Questo male va combattuto, va allontanato. Bisogna dirgli di no. Coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati". Così il viaggio a Cassano allo Jonio si iscrive in un filone del magistero di Papa Francesco che sta sempre più caratterizzando il suo pontificato. Giorno dopo giorno, con le parole e con i gesti, come una goccia che scava la roccia, egli sta infatti ripristinando nelle coscienze anestetizzate dal relativismo edonista il senso del peccato. In tal modo egli da un lato va alla radice dei problemi del nostro tempo, dall’altro mostra agli uomini e alle donne del 2000 la via d’uscita da una mentalità che nasconde dietro promesse di falsa liberazione e felicità, una riduzione sempre più forte in schiavitù. Ritrovare il senso del peccato è il primo passo per rendersi conto della propria condizione creaturale e uscire dal delirio di onnipotenza che caratterizza tanta parte della cultura contemporanea, con gli effetti perversi che ben conosciamo, dall’economia alla bioetica, dalla politica corrotta alla mafia, appunto. Il Papa sta dando per primo l’esempio. E fa un certo effetto sentirlo dire ai detenuti "ppregate per me, perché anch’io commetto degli errori". Inoltre ritrovare il senso del peccato è anche la condizione primaria per abbandonarsi alla misericordia di Dio di cui il Pontefice parla ogni giorno e sperimentarla fino in fondo. Per tutti questi motivi, la visita in terra calabra di Francesco assume davvero una dimensione storica. Perché, accanto alll’annuncio eclatante della scomunica, gesti e parole di Francesco, il suo chinarsi con amore e umiltà su tutti i feriti esistenziali di questa terra, mettono in rilevo che solo la rinuncia a satana - al male dunque - e l’adorazione del vero Dio che è amore possono dare soluzione ai problemi. Del resto, è un segno che la stessa scomunica sia stata pronunciata durante la celebrazione della Messa davanti a 250mila fedeli. Anzi, a ben vedere, l’immagine eloquente, quella che resta negli occhi e nella memoria, è questa immensa assemblea che celebra la Messa del Corpus Domini resistendo al caldo e alla polvere. Un’immagine plastica di quella Chiesa contro cui le porte degli inferi non prevarranno. Tanto meno le armi dei mafiosi. Mai un solo gesto che possa far pensare alla semplice commiserazione. Sempre e solo l’invito a guardare avanti. A non arrendersi alle difficoltà, a lottare con il Vangelo alla mano, contro tutte le ingiustizie. Lo dice ai detenuti del carcere di Castrovillari, per i quali chiede rispetto dei diritti umani e reinserimento nella società ("vi auguro che il tempo della detenzione non vada perduto, ma possa essere prezioso"). Lo dice al papà e alle nonne di Cocò Campolongo, il bimbo di tre anni ucciso in un agguato mafioso ("Mai più una simile violenza sui bambini"). Lo ripete con gesti di affetto, visitando i malati terminali e sostando nella parrocchia di padre Lazzaro Longobardi, il sacerdote recentemente ucciso. Quindi lo sottolinea incontrando i sacerdoti nella Cattedrale di Cassano allo Jonio. "Siate non impiegati, ma canali attraverso cui far passare l’amore di Dio. Non fate da schermo all’incontro delle persone con il Signore. Restate in comunione tra voi, intorno al Vescovo. Non cedete all’individualismo pastorale. Aiutate le famiglie, sia come istituzione, sia le famiglie in crisi". Ma forse l’incoraggiamento più forte il Papa lo rivolge ai giovani "bisognosi di speranza", ricordando il Progetto Policoro della Cei "per coloro che vogliono mettersi in gioco" nel mondo del lavoro, e chiedendo agli stessi giovani di opporsi al male. Un vero e proprio programma pastorale. Un nuovo inizio per la Calabria. Lontana dalla mafia. Più vicina a Dio.
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