giovedì 17 dicembre 2015
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I lettori non si stupiranno troppo se il direttore di “Avvenire” firma questo editoriale assieme a uno di loro: Marco Dal Prà, veneto di Mestre, cittadino, contribuente, lavoratore e principale sostegno economico in una famiglia di sette persone: padre, madre e cinque figli. Hanno già trovato in questa stessa posizione di rilievo su questa stessa prima pagina loro lettere trasformate in commento del giorno. Così è anche stavolta anche se in una forma un po’ diversa. Questa firma condivisa segnala, infatti, una adesione convinta e piena alla domanda con la quale ancora una volta, con coraggio civile e “dal basso”, si incalza chi ci rappresenta, ci governa e fa le leggi.Scrive dunque uno di noi, rivolgendosi tramite “Avvenire” a tutti coloro che hanno responsabilità politica e in primis al presidente del Consiglio e al ministro dell’Economia e delle Finanze: «Vorrei sapere se anch’io potrò accedere a quel piccolo “aiuto umanitario a sostegno delle fasce più deboli” del quale ha parlato il ministro Padoan in questi giorni a proposito delle conseguenze del fallimento di quattro banche italiane. Certo, io non sono paragonabile a coloro che hanno perso migliaia di euro in azioni od obbligazioni subordinate, ma magari avendo moglie e 5 figli a carico qualche spiraglio lo si potrà trovare. Non appartengo nemmeno a quella parte di popolazione che, come ha detto il ministro, ha fatto delle scelte sbagliate con i propri soldi, ma del resto potendo accantonare non più di due euro al mese non è che possa fare grandi errori...».E continua: «Magari potranno farci accedere al fondo con la motivazione che sono oltre 5 anni che non facciamo ferie di nessun tipo, oppure perché rientriamo tra le tante persone che dopo anni dal fallimento dell’impresa dove lavoravano, non hanno ancora visto un centesimo degli stipendi arretrati. Credete che stia scherzando? Purtroppo no». Già, non è affatto uno scherzo. E il fatto che la piccola e giustamente spigolosa serie di domande formulata da un cittadino–lettore di questo giornale abbia in sé tante risposte negative spiega perché non possiamo e non dobbiamo smettere di proporle con forza e crescente indignazione, chiedendo che le risposte arrivino e siano positive, sagge, efficaci. È ovvio, infatti, che in un Paese civile si debba dare sostegno attraverso un trattamento fiscale di riguardo, assegni familiari (o strumenti di solidarietà analoghi) e servizi accessibili e degni di questo nome a una famiglia ricca solo di figli. Così come è ovvio che un lavoratore derubato degli stipendi arretrati (sua «giusta mercede») merita di ricevere una considerazione almeno pari a quella offerta ai titolari di investimenti a rischio inconsapevoli (cioè indotti con inganno e dolo) proprio come quelli di cui si parla tanto e da tanti giorni a causa del fallimento di quattro banche. Quando se ne renderanno conto tutti coloro che siedono nelle assemblee elettive, prima fra tutte il Parlamento, e nei diversi livelli di Governo del nostro Paese e si ostinano a considerare rinviabile all’infinito l’avvio di una politica strutturalmente attenta alla famiglia e in special modo alla famiglia con figli? E quando si sveglieranno tutti coloro – in buona misura gli stessi di cui sopra – che non perdono il vizio di giudicare un trascurabile dettaglio il macigno dell’ingiustizia contro i poveri e gli impoveriti del nostro Paese nonché inattuale e inattuabile una politica di inclusione sociale non semplicemente assistenzialistica? Famiglia e poveri non chiedono una stessa politica, ma una stessa visione. E reclamano, dopo anni di miopie acute, due contemporanee azioni politiche, certamente coordinate tra loro, ma specifiche. Una doppia svolta che in Italia, in pauroso ritardo sul fronte del contrasto alla miseria, è particolarmente urgente come continua a ricordare il cartello di associazioni e organizzazioni capitanato dalla Caritas che si batte per l’introduzione di uno strumento come il Reis (il reddito di inserimento sociale). Una doppia e concretissima priorità che, dando serio sbocco al chiacchiericcio inconcludente sull’applicazione del dettato costituzionale pro famiglia, può portare sulle vie che il Forum delle famiglie continua a indicare con pazienza e insistenza. Ne ha diritto un popolo che purtroppo, nei lunghi anni della crisi, si è fatto immenso: le persone che vivono in “povertà assoluta” sono più di 4 milioni, che quasi raddoppiano, sino a poco meno di 8 milioni, se il metro diventa quello della “povertà relativa”. Alcune migliaia di risparmiatori e piccoli (e, spessissimo, turlupinati) investitori hanno diritto a essere ascoltati e soccorsi, ma ancor di più lo hanno i milioni di poveri che non possono risparmiare né investire. Dovrebbe essere queste grandi vittime di un'economia e una finanza irresponsabili e di una politica tenacemente e temerariamente inadeguata la prima preoccupazione di tutti coloro che, comunque la pensino, hanno testa e cuore da «concittadini». Usiamo non a caso, un’espressione cara a Sergio Mattarella. E ci ricolleghiamo al suo primo pensiero da presidente della Repubblica eletto. Chi ha il compito di fare, sappia essere conseguente ed efficace.
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