venerdì 12 settembre 2014
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​«Centomila euro "coperti" per il partito del premier». Oppure «Centomila euro "segreti" per la campagna elettorale del capo dell’opposizione». O ancora: «Fatta la legge, trovata la donazione». E infine (ma solo per non farla troppo lunga): «Finanziamenti privati, pubblici favori». Provate a immaginare l’effetto di una serie di titoli di giornale di questo tenore e di articoli che in modo rigoroso e documentato li accompagnino. Un effetto devastante. Roba da caduta della Prima Repubblica e da crisi della cosiddetta Seconda. Ovvero, all’alba della vagheggiata Terza Repubblica, la continuazione di un incubo che in Italia dura, purtroppo, da decenni.Non si tratta di un esercizio retorico, ma della desolante prospettiva tenuta aperta – e resa non solo possibile, ma probabile, e pressoché certa – dall’autolesionista tenaglia costruita da un insieme di peccati di presunzione e di omissione legislativa. Cioè una serie di regole in parte malfatte – quelle contenute nella legge 13 del 2014 – in tema di finanziamento della politica da parte di privati (gruppi di interesse, aziende, soggetti vari) od ostinatamente non fatte per disciplinare le attività lobbistiche nelle sedi istituzionali. Una comoda mancanza di trasparenza resta la norma base. E ciò che più sconcerta (e che ci ha spinto a realizzare l’inchiesta pubblicata oggi alle pagine 6 e 7) è l’apparente assenza di consapevolezza del gravissimo rischio perpetuato da una simile situazione.Non è detto che la sveglia che vorremmo far suonare venga ascoltata, e tuttavia non rinunciamo a suggerire la strada di un ravvedimento operoso del Parlamento (che ha ritenuto di modificare in peggio la legge ad hoc delineata dal Governo Letta e, in pratica, varata assieme al Governo Renzi). È infatti in corso un gran lavorìo riformatore, che non ci convince in tutto e per tutto (abbiamo spiegato più volte e a più voci perché) e che però ci auguriamo abbia comunque successo, perché è parte decisiva del processo di rigenerazione della nostra "politica" e del suo necessario riaccreditamento al cospetto dell’opinione pubblica italiana (e non solo). Ma anche se, per ipotesi, si riuscisse a varare la migliore legge elettorale del mondo e a condurre in porto un’operazione di eccellente riequilibrio delle funzioni delle Camere e del rapporto tra Stato centrale e Autonomie locali, tutto sarebbe vano, nel caso in cui un sistema opaco di finanziamento dei partiti continuasse a propiziare sospetti, furbizie, conflitti di interesse e relazioni indecenti tra centrali di potere economico-finanziario e uomini e donne della politica.Nella lista delle cose indispensabili da fare c’è perciò da aggiungere qualche norma scaccia-ombre dalla "riforma dei soldi ai partiti" e, finalmente, una legge che accenda la luce sulle attività lobbistiche e le argini. Questo se i parlamentari, i governanti, i dirigenti dei partiti e dei movimenti che oggi occupano la scena pubblica hanno a cuore la sopravvivenza della democrazia rappresentativa e hanno davvero deciso di porre fine al gioco al massacro delle istituzioni. Non sappiamo proprio chi potrebbe giudicare sana e nuova una politica che continuasse a dotarsi di "macchine di finanziamento" che, in realtà, sono ingranaggi di "macchine del sospetto" che aprono inesorabilmente la strada a "macchine del fango". È la mossa iniziale che conta più di tutte. E se non è giusta, va aggiustata.
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