sabato 7 gennaio 2012
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Nell’omelia pronunciata ieri per l’Epifania, il Papa ha detto che i Magi erano «uomini di scienza, ma non soltanto nel sen­so che volevano sapere molte co­se: volevano di più. Volevano ca­pire che cosa conta nell’essere uomini». È una sottolineatura as­sai importante che richiama la differenza tra mera erudizione e vera cultura. La prima è solo un’accumulazione di nozioni senza gerarchia tra loro; la se­conda, invece, desidera anzitut­to rispondere alle domande esi­stenziali: «chi sono?», «qual è la mia origine?», «qual è il mio fi­ne? », «esiste Dio?», «se c’è Dio perché c’è anche il male?»... In effetti, il fine principale del­­l’attività conoscitiva umana do­vrebbe essere il nostro continuo miglioramento morale. Dunque la ricerca conoscitiva dovrebbe principalmente (anche se non e­sclusivamente) e continuamente interrogarsi sulle grandi doman­de, dovrebbe cercare di miglio­rarci, di aiutarci a ben vivere e a ben morire. Ciò significa che do­vremmo cercare una giusta pro­porzione tra ciò che (giustamen­te) sappiamo per via della nostra professione o per interesse e ciò che abbiamo bisogno di sapere in quanto uomini: posso sapere tutto sull’informatica, sull’eco­nomia, sulla geografia, ma tutte queste cose, pur pregevoli, non sono primarie, perché ciò che conta principalmente è saper ri­spondere – per quanto possibile – alle domande esistenziali. Il tanto (ingiustamente) bistrat­tato Medioevo ha molto da in­segnarci al riguardo, perché or­ganizzava in modo gerarchico i vari saperi in rapporto alla loro capacità di insegnarci l’arte di vivere moralmente bene. Dice­va che essi devono favorire, o perlomeno non ostacolare, la ri­cerca del bene, l’amore a Dio e al prossimo. Se questa unificazione è caduta nel Rinascimento, durante l’Illu­minismo (ovviamente con delle eccezioni al suo interno) è ritor­nata una nuova organizzazione del sapere, quella antigerarchica dell’enciclopedia, che dispone le conoscenze secondo il criterio al­fabetico (cosicché amaca viene prima di Cristo...), dove al centro non c’è più l’uomo bensì l’accu­mulazione stessa del sapere e la moltiplicazione delle informa­zioni atrofizza la capacità di ri­flettere, come oggi spesso succe­de con internet. Inoltre, la vera cultura è quella che non rimane 'bagaglio culturale', bensì quel­la che metabolizziamo, facendo­ne pensiero del nostro pensiero. Quella che incide sulla nostra vi­ta, quella che ci orienta, come la stella che guidava i Magi, e che insieme ci è consustanziale. Ancora, a differenza dell’uomo veramente colto, il mero erudito resta chiuso nella sua torre d’a­vorio, del suo sapere fa motivo di vanto snobistico e di disprezzo verso i semplici, che sanno mol­to di meno in generale, ma tal­volta sanno molto di più di lui per quanto concerne il senso della vi­ta. E qui veniamo a due altre ca­ratteristiche dell’uomo vera­mente colto, anch’esse menzio­nate da Benedetto XVI: i Magi «e­rano anche uomini coraggiosi e insieme umili: possiamo imma­ginare che dovettero sopporta­re qualche derisione» e «Per es­si non era decisivo ciò che pen­sava e diceva di loro questo o quello […]. Per loro contava la verità stessa, non l’opinione de­gli uomini». In effetti, al cercatore della verità sono necessarie diverse virtù, a cominciare appunto dall’umiltà e dal coraggio, che il Papa ha ri­chiamato anzitutto in riferimen­to ai vescovi. La prima, perché chi è orgoglioso difficilmente rico­nosce di sbagliare e persevera nel difendere una tesi erronea per non dover ammettere di aver sba­gliato. Il secondo, perché – so­prattutto oggi nell’epoca del po­litically correct – andare contro­corrente significa essere derisi, u­miliati, disprezzati, osteggiati.
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