sabato 6 luglio 2013
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​In queste drammatiche ore che seguono alla destituzione del presidente Muhammad Morsi, la vera sfida per il popolo egiziano, guardando al futuro, è culturale. Se questa grande nazione, cerniera tra il Medio Oriente e l’Africa, vuole evitare d’essere ostaggio del suo passato, il percorso è obbligato. Occorre cioè realizzare un profondo cambiamento che porti il Paese ad un vero Stato di diritto, paritetico, uguale per tutti, nel cui ambito non solo si difendano incondizionatamente i diritti fondamentali della persona, ma si garantisca anche la formazione di un pensiero critico. La posta in gioco è alta perché questa è la piattaforma su cui far convergere la galassia di formazioni sociali e politiche che hanno osteggiato, scendendo in piazza, la politica scellerata dei Fratelli Musulmani. Sebbene, in epoca moderna, vi sia stato il tentativo di conformare il sistema giurisprudenziale alle moderne democrazie, soprattutto al Codice Napoleonico, le ambiguità dei regimi militari del passato, con l’acuirsi della pressione fondamentalista, hanno emarginato le minoranze religiose, cristiani in primis, penalizzando fortemente il dibattito democratico. Ecco perché l’unico percorso da seguire è quello della cosiddetta reinterpretazione della tradizione islamica, alla luce della critica moderna. Come rileva uno dei più grandi conoscitori del mondo arabo, padre Giuseppe Scattolin, membro dell’Accademia della Lingua Araba in Egitto, «ogni religione (ma anche ogni ideologia e cultura) che non abbia fatto tale processo interno di "re-interpretazione" sarà sempre tentata di ritornare ai modelli passati che sono stati (soprattutto nel caso dell’Islam) improntati per lo più ad una ideologia di conquista e dominio, e quindi certamente non pacifista».Ma tale reinterpretazione della tradizione islamica, spiega Scattolin, «non può essere imposta dall’esterno. Questo è stato l’errore di molta azione politica e culturale occidentale. Come per tutte le altre grandi tradizioni religioso-culturali, occorre attuare una maturazione dall’interno». In questo delicato processo, s’impone un sano discernimento capace di salvaguardare alcuni valori di fondo che costituiscono l’identità profonda della tradizione religiosa, rendendoli intelligibili e sinergici con le legittime istanze della modernità, che non può più essere disattesa come vorrebbero i fautori della sharìa (la legge islamica). Non pochi moderati hanno già tentato di operare questo processo innovativo. Emblematico, ad esempio, è il pensiero di Sayyed al-Qimanî, uno scrittore egiziano contemporaneo, che ha difeso a denti stretti il razionalismo, affermando che la parola del Corano si storicizza incarnandola negli avvenimenti e non mantenendola in uno stato di astrazione e ripetitività come fanno i Salafiti e i Fratelli Musulmani. Per non parlare di un altro grande scrittore egiziano, Faraj Fôda, che a lungo ha lottato per la laicità dello Stato e per la separazione tra religione e politica, e che venne assassinato dagli estremisti nel 1992. Detto questo, è bene rammentare che la crisi egiziana, come di tutto il Medio Oriente, già segnato da una storia di violenze e tensioni soprattutto dal primo conflitto arabo-israeliano del 1948, si è ulteriormente aggravata a causa della pesante crisi economica e finanziaria mondiale. Il fenomeno della disoccupazione, come anche la crescita esponenziale dei prezzi, sono stati interpretati dai gruppi fondamentalisti islamici come sciagure imposte dalla globalizzazione dei mercati. A riprova che la comunità internazionale non è estranea alla soluzione dei problemi che assillano l’Egitto. D’altronde, questo Paese è centrale nello scacchiere internazionale, basti pensare al ruolo strategico e al significato politico e commerciale del canale di Suez. Pertanto, occorre investire risorse umane ed economiche per sostenere la società civile, promuovendo una maturazione del pensiero, all’insegna del dialogo e della tolleranza.
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