giovedì 18 luglio 2013
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​Come uno smottamento, un franare improvviso giù in basso. Così tanti italiani si sono ritrovati, all’improvviso, in forte difficoltà. L’Istat li quantifica con precisione: ora sono 4 milioni 814mila i cittadini in povertà assoluta, ben 9 milioni 563mila quelli in condizione di povertà relativa. Da un anno all’altro, il totale è cresciuto di quasi un milione e mezzo di persone, una cifra record per il nostro Paese. Che racchiude in sé tanti drammi personali e la tragedia collettiva di una società che si sta lacerando tra sommersi e salvati. Tra coloro che sono travolti dalla Grande Crisi e chi riesce a resistervi in una trincea più o meno protetta. Tra chi sta al Nord con maggiori possibilità e coloro che restano a Sud con ben poche speranze. Ma anche tra chi, solo, riesce in qualche modo ad arrangiarsi e invece tante famiglie con figli che da decenni ormai non ricevono il giusto riconoscimento del loro ruolo e condizione e perciò stesso sono sempre più esposte al rischio povertà.Le cifre dell’Istat rappresentano con chiarezza ciò che è accaduto. Parlano di una povertà relativa che in Italia è passata dall’11,1 al 12,7% delle famiglie, ma è in realtà la media "bugiarda" tra un Nord al 6,2 e un Mezzogiorno al 26,2%, ben 20 punti in più. Significa che al Sud è sotto la linea di povertà relativa oltre un quarto di tutte le famiglie, e se il capofamiglia perde il lavoro, la povertà colpisce subito un nucleo su due, visto che si tratta in gran parte di monoreddito. E ancora, un livello di istruzione medio-alto, l’essere impiegati o addirittura dirigenti, non proteggono più, di per sé, dal rischio povertà. Nulla è più sicuro, assodato, quando il lavoro è incerto. Tanto che l’unica categoria in lieve miglioramento ora è quella dei pensionati, in qualche modo "protetti" dal (pur magro) assegno Inps. La "vecchia" povertà ha lasciato il posto a una nuova precarietà diffusa, trasversale, immanente e pervasiva. È però in particolare la progressione del rischio correlato al numero dei componenti la famiglia ad essere impressionante. L’incidenza della povertà assoluta, infatti, è aumentata dal 4,7 al 6,6% per le coppie con un figlio, dal 5,2 all’8,3% per quelle con due figli, addirittura dal 12,3 al 17,2% quando i figli sono tre o più. Progressione ancora più decisa se si considera la povertà relativa in presenza di figli minori: dal 15,7 con un bambino al 28,5% con tre o più nella media italiana, oltre il 40% nel Mezzogiorno.Il Paese che frana è questo: sono gli impiegati licenziati al Nord, che a 50 anni nessuno vuole più. Sono gli operai del Sud in cassa integrazione perenne, assieme ai giovani precari a vita. Sono soprattutto i genitori che hanno fatto "la pazzia" di realizzare un progetto di vita. E si ritrovano soli, senza aiuti e il giusto riconoscimento, ad affrontare la crescita dei figli. Inerti non si può rimanere. Occorre agire per rilanciare l’economia e il lavoro, in particolare nel Mezzogiorno, con misure di stimolo alla crescita e di miglior utilizzo dei fondi disponibili. Quindi mettere in campo programmi specifici di lotta alla povertà e di inserimento sociale. Il governo ieri ha rivendicato l’azione in materia, ricordando, con il ministro Giovannini, anche lo stanziamento di ulteriori 167 milioni di euro per la sperimentazione della nuova «social card». Non servono "redditi minimi garantiti" a pioggia, la direzione individuata è quella giusta. Ma dopo decenni di colpevole disattenzione bisogna accelerare e accrescere in maniera significativa la dotazione finanziaria.Soprattutto, non si può attendere ulteriormente per varare anche un intervento significativo, uno choc positivo sul piano fiscale, che ridia equità al sistema e ossigeno immediato alle famiglie. Sostenerle nel loro compito di cura, riconoscendo i diversi pesi di cui si fanno carico – attraverso un sistema come il "quoziente familiare" o il "fattore famiglia" – per garantire un maggior reddito disponibile ad ogni nucleo rappresenta la prima forma di assicurazione contro il rischio povertà. Per non condannare milioni di cittadini a un dramma personale e il Paese a una tragedia collettiva.
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