lunedì 6 gennaio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Ha ragione chi dice che con Papa Francesco si ha l’impressione di un colloquio personale, uno sguardo diretto sulla propria vita. Omelie, udienze e discorsi – letti o ascoltati – lasciano spesso un’impronta interiore, un’eco che resta e che non si può attribuire solo alla forza espressiva, o alle immagine vivide cui il Pontefice ricorre parlando o scrivendo (è anche il caso della Evangelii gaudium, redatta con uno stile così immediato da sembrare in realtà una coinvolgente chiacchierata spirituale). Le parole si trasformano in germogli, perché dal Papa non si viene solo interpellati ma anche invitati ad agire, a mettersi in discussione, a cambiare la propria vita, magari proprio là dove inconsciamente la si pensava ormai indiscutibile. Forse è per questo impulso segreto che la stessa sensazione di un dialogo a tu per tu, di quell’espressione accogliente e benevola con la quale Francesco guarda capi di Stato e gente comune, si imprime nitidamente anche leggendo le ultime due riflessioni di questi giorni: l’omelia nella Messa di ringraziamento per la canonizzazione del gesuita Pietro Favre – figura decisiva per comprendere Bergoglio – e il lungo resoconto del dialogo con i superiori delle congregazioni religiose restituito da padre Antonio Spadaro su Civiltà Cattolica.In entrambi i casi il contesto e gli interlocutori potrebbero far pensare a interventi a uso interno del mondo dei religiosi, ma non è così, o almeno non solo. Se la cornice resta importante per non manipolare parole il cui significato letterale va rispettato (evitando le operazioni strumentali tentate ieri da qualche agenzia di stampa, e rilanciate da vari organi informativi), gli spunti che il Papa propone hanno a che fare con l’esperienza cristiana di ciascun credente proprio perché partono dall’essenziale: formare il cuore, e non solo al rispetto di un codice di comportamento, alimentare il desiderio di cose grandi, non credersi mai "a posto", sentirsi anzi sempre limitati e bisognosi di ricominciare, farsi compagni di cammino degli altri, cercare una risposta agli interrogativi della vita non in un cupo monologo interiore ma nella vertiginosa e consolante apertura della preghiera. L’«inquietudine della ricerca», che nasce dal «pensiero incompleto» e «aperto» a un Dio «che ci sorprende senza sosta», garantisce un cuore «sempre in tensione», «che non si adagia, non si chiude in se stesso», non «atrofizzato» ma in continuo movimento. Quello che percorre gli insegnamenti di Bergoglio è un dinamismo esigente ma lieto, lo stesso dal quale – in fondo – ci sentiamo istintivamente attratti: «Oggi Dio ci chiede questo: di uscire dal nido che ci contiene, per essere inviati». Lo dice ai religiosi, ma alzi la mano chi si sente escluso da un simile invito. E ancora, stavolta parlando ai gesuiti: «Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre», proprio in quelle «acque profonde» dove Bergoglio più volte ha chiesto di spingersi. Un desiderio senza fine, ecco cosa muove il credente: lo disse Agostino, lo ripete oggi il Papa che ci incoraggia a essere «audaci» e non «mediocri», capaci di «svegliare il mondo», come chiede ai consacrati. La vita di fede alla scuola del Pontefice è infatti un nuovo inizio ogni volta che ci si crede arrivati, o si teme di essersi persi, tentati di lasciar perdere: è proprio allora che occorre «pregare per desiderare e desiderare per allargare il cuore», evitando che, col tempo e le amarezze, questo diventi «acido come l’aceto». Bisogna chiedersi spesso se si assomiglia a quelli che il Papa definisce cristiani «con uno stile di Quaresima senza Pasqua». Perché il movimento impresso da Francesco alla Chiesa passa per la via della «tenerezza, anche una tenerezza materna», criterio per affrontare «sfide nuove che per noi sono persino difficili da comprendere», come il caso dell’annuncio a «ragazzi che hanno i genitori separati», o con situazioni di convivenza anche complesse. A tutti «il Vangelo si annuncia con dolcezza, con fraternità, con amore» e non «con bastonate inquisitorie», mossi piuttosto da «una inquietudine anche apostolica» senza la quale si diventa «sterili». Cristiani aperti, vivi, capaci di grandi desideri, e persino di «pazzie». Sospinti da una parola e un sorriso che non permettono di assopirsi.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: