giovedì 19 aprile 2012
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Il magistero di Benedetto XVI ha avuto, e ha, un contenuto antropologico speciale, essendo diretto all’uomo di oggi, con le sue aspirazione e ansie, le conquiste che realizza, le sconfitte che patisce. Papa Ratzinger – vale la pena di rifletterci in questo giorno anniversario della sua elezione al soglio di Pietro – ha esaltato l’universalità della funzione petrina approfondendo il ruolo centrale che il rapporto tra fede e ragione svolge per aiutare l’uomo a realizzare le idealità più profonde, nella costruzione del suo cammino storico.Con l’enciclica Spe salvi del 2007 il Papa parla della fede che elimina la paura, soddisfa il bisogno di trascendenza che esiste nel cuore dell’uomo, promette la vita eterna. Ma il Vangelo, aggiunge, non comunica solo ciò che si può sapere, il Vangelo «è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente, gli è stata donata una vita nuova» (n. 2). La fede trasforma l’uomo, può cambiare il mondo: è questo il messaggio di speranza che Benedetto XVI trasmette nei suoi viaggi tra i popoli, negli incontri con i rappresentanti degli Stati, nella catechesi dentro e fuori San Pietro. La fede in Dio, l’incontro con Gesù, dona a ognuno di noi una solidità interiore che da soli non abbiamo, rende capaci di aprirsi agli altri, diffondere amore anziché egoismo, alleviare le sofferenze, mutare le barriere che dividono in confini aperti, che avvicinano gli uomini.Se la fede trasfigura l’uomo, la ragione svolge un ruolo decisivo, perché essa è «il grande dono di Dio», lo strumento con il quale l’uomo può crescere e conoscere l’universo che lo circonda. Ma la ragione ha dei limiti che i filosofi di tutti i tempi avvertono, non dà una conoscenza perfetta, perché ciò implicherebbe un intelletto assoluto, ha bisogno di un orizzonte più ampio che la spinga verso il bene. Per Benedetto XVI, fede e ragione sono complementari, devono integrarsi, l’equilibrio si realizza quando la ragione si apre «alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male. Solo così diventa una ragione veramente umana» (Spe salvi, n. 23). Il magistero del Papa è ricco di gioia e di speranza, perché la fede non umilia né frena la ragione, ma la potenzia, la aiuta a scegliere il bene; solo la scissione della ragione dalla fede fa perdere il cordone ombelicale con la visione d’amore e solidarietà che il cristianesimo ha introdotto cambiando il corso della storia. Nell’accordo tra fede e ragione l’uomo è in grado di conoscere e comprendere i fondamenti della legge naturale, e su di essi può costruire un ordine giusto che si fondi sui diritti umani, la cui origine è nella concezione evangelica della giustizia. Sulla scia dei suoi predecessori, Benedetto XVI è il pontefice che più ha impegnato il magistero della Chiesa nella difesa e promozione dei diritti umani, della loro universalità, diffondendone il significato tra i popoli, chiedendone l’attuazione agli Stati e ai legislatori, invocando il rispetto di quella libertà religiosa che in tante parti del mondo è violata con persecuzioni e violenze, soprattutto nei confronti dei cristiani. In virtù di questo impegno, il Papa avverte il rischio che i diritti umani siano sviliti e declassati per il relativismo che si diffonde come un veleno in alcune correnti del pensiero moderno. Egli è consapevole che non si può essere relativisti assoluti: quando si eleva l’arbitrio individuale a guida dell’agire si oscura l’orizzonte dei diritti umani, si nega il loro fondamento ontologico.Nel settembre 2010, al bureau dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Benedetto XVI ha ricordato che, «tenendo presente il contesto della società attuale, nella quale si incontrano popoli e culture differenti, è imperativo sviluppare sia la validità universale di questi diritti, sia la loro inviolabilità, inalienabilità e indivisibilità». Di qui i rischi che si proiettano nel campo dei valori, dei diritti e dei doveri: «Se questi fossero privi di un fondamento razionale, oggettivo, comune a tutti i popoli, e si basassero esclusivamente su culture, decisioni legislative o sentenze di tribunali particolari, come potrebbero offrire un terreno solido e duraturo per le istituzioni sopranazionali?». Oggi ci si rende conto che relativismo e nichilismo nascono nella solitudine del pensiero, nell’assenza di amore e passione per l’uomo, nell’appagamento affannoso di interessi e piaceri transitori. Nel magistero del Papa che illumina il mondo, la sintonia tra fede e ragione rafforza l’uomo, lo guida nella ricerca della verità, gli permette di realizzare appieno le sue aspirazioni più alte.
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