martedì 3 novembre 2015
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Non sappiamo dire se, alla fine, Lucio Angel Vallejo e Francesca Immacolata Chaouqui saranno riconosciuti colpevoli della grave slealtà verso il Papa e la Chiesa che avrebbe fatto di loro i protagonisti del nuovo "furto di fiducia" (e di documenti, e di parole) in Vaticano. Non abbiamo cioè ancora piena certezza della fondatezza dell’accusa che grava sul monsignore di curia e sulla consulente di comunicazione e marketing: aver "sporcato" il servizio a cui erano stati chiamati da papa Francesco nella Cosea, la ormai disciolta Commissione di studio sulle strutture economico-amministrative della Santa Sede. Ma sappiamo bene che dietro il portone di bronzo non si assumono di frequente, e a cuor leggero, provvedimenti come l’arresto. Il furto del resto c’è indubbiamente stato, e ha condotto alla pubblicazioni di libri che – oggi come ieri, comunque vengano presentati – sono un attacco alla Chiesa e all’azione di riforma del Papa: quella avviata ieri da Benedetto XVI e quella sviluppata con determinazione, ormai da quasi tre anni, da papa Francesco. Il metodo è il solito: alzare polveroni che confondono bene e male e fanno comodo soprattutto ai veri malfattori.Sappiamo anche che questo caso è ben diverso da quello del 2012. Stavolta niente è stato rubato direttamente al Papa. Ma ancora una volta una ferita cattiva è stata inferta a tutti i cattolici e anche a coloro che, con crescente rispetto, ascoltano la parola e seguono l’azione di papa Francesco. Ladri e ricettatori materiali, strateghi e grassatori (im)morali, faranno bene a rendersi conto che la Chiesa sa perdonare, ma il giudizio dei semplici è senza scampo.
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