giovedì 9 aprile 2015
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I campi rom non vanno rasi al suolo, vanno superati. La boutade "distruttrice" di Matteo Salvini, che non a caso ha scelto la Giornata internazionale dei rom e dei sinti per sparare contro un bersaglio facile, ribalta la politica leghista – l’unico voto contrario in Commissione diritti umani del Senato al superamento dei campi è stato quello della Lega Nord – e ignora la situazione. Perché nei campi autorizzati, tollerati o abusivi, come sostiene il rapporto nazionale presentato ieri a Roma dall’Associazione 21 luglio, i diritti umani sono sospesi. Un bambino che cresce all’interno di questi insediamenti ha infatti un’aspettativa di vita inferiore di 10 anni ai suoi coetanei, scarse possibilità di accedere a un percorso scolastico superiore e, in un caso su cinque, non siede sui banchi.Non si è dunque xenofobi o antitzigani se si riconosce che, dove si ammassano degrado e povertà e non ci sono alternative di legalità, prosperano criminalità e delinquenza. Quindi nulla da dire se finalmente l’Italia chiude questa anomalia nata mezzo secolo fa per rispondere alle esigenze di comunità allora nomadi. Oggi la metà dei rom sono italiani (il resto cittadini comunitari) e quattro su cinque hanno casa e occupazione. Per gli altri va cambiato registro, come chiede l’associazionismo, puntando su legalità e integrazione, processi lenti e poco popolari. Ma non ci sono alternative. Del resto l’intollerabile metodo proposto da Salvini – sei mesi di preavviso e poi le ruspe – non è nuovo né ha sortito risultati. Fu il leghista Roberto Maroni, quando era al Viminale, a proclamare il 21 maggio 2008 lo stato di emergenza nomadi con tanto di commissari nelle grandi città. Furono stanziati svariati milioni di euro, a volte utilizzati per sgomberi, più spesso per rafforzare mura di cinta e moltiplicare strutture. A Milano si è visto bene cosa significa "mandare le ruspe". Cinque anni fa, il Comune le mandò ad abbattere accampamenti abusivi senza la minima considerazione per i bambini che andavano a scuola, che si videro spianati in gelide albe invernali – insieme alla baracca – quaderni e zaini scolastici. "Avvenire" pubblicò le lettere di maestre e mamme della scuola di via Rubattino che documentavano la solidarietà tra le famiglie dei compagni di classe che ospitavano e accompagnavano a scuola i piccoli sfollati. Il cardinale Tettamanzi protestò e venne incivilmente attaccato. Finì che molti alunni dovettero abbandonare la scuola, vanificando i tentativi di inserimento. Ecco chi ha colpito il pugno di ferro che Salvini ripropone vellicando il sospetto degli italiani. Ma il «superamento dei campi» richiede umano buon senso e cervello, non slogan incendiari.
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