venerdì 15 marzo 2013
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​Mercoledì sera non si era ancora spenta l’eco delle prime parole di Papa Francesco e già una parte dell’opinione pubblica aveva dichiarato chiusa la questione. Ma quale novità, ma quale sorpresa, ma quale ostinazione dello Spirito. Ormai bastano pochi secondi di ricerca nel web per trovare quel che serve a farsi un’idea adeguatamente disinformata. E l’elezione del nuovo vescovo di Roma è un’occasione da non perdere. Nel caso specifico, blog e social network hanno fatto a gara nel rilanciare la tesi della presunta collusione del cardinal Bergoglio con la famigerata «guerra sporca» che insanguinò l’Argentina tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Fonti pochine, ma replicate con insistenza tale da assumere il carattere di un’evidenza incontrovertibile. Anche la scarsità di documentazione, in ogni caso, non è un problema. In mancanza di meglio ci si può sempre accontentare di qualche fotomontaggio, non importa quanto grossolano, purché utile a confermare quello che lo studioso americano Philip Jenkins ha definito con grande efficacia «l’ultimo pregiudizio accettabile»: ciò che riguarda la Chiesa cattolica è posto automaticamente sotto il segno del sospetto. Senza esitazioni di sorta, senza alcuna preoccupazione di cadere nell’errore o addirittura nella calunnia.Vogliamo sintetizzare con un paradosso? Se anche fosse privo di difetti, per una certa mentalità un difetto il Papa – qualsiasi Papa – lo avrebbe comunque, e sarebbe il fatto stesso di essere cattolico. Si potrebbe parlare di "effetto Dan Brown", non fosse che, in definitiva, Il Codice Da Vinci non ha inventato nulla. La descrizione più tagliente del fenomeno si trova già nel Vangelo di Matteo, quando Gesù traccia con poche parole l’apologo dei ragazzini scontenti. Gli amici fanno di tutto per giocare con loro, ma niente: se si suona il flauto, quelli non danzano; se si intona il lamento, quelli non piangono. I credenti ormai ci hanno fatto l’abitudine, ma non per questo il fenomeno può essere sottovalutato. La posta in gioco, questa volta, è troppo alta per essere abbandonata al pressapochismo dei più malevoli luoghi comuni. La scelta del nome di Francesco, lo stile di povertà subito assunto, la semplicità annunciata dalle parole pronunciate mercoledì dalla Loggia dei Papi e ribadita ieri nell’omelia in Cappella Sistina: sono tutti indizi di un rinnovamento che in molti, anche fuori della Chiesa, affermavano di attendere e che adesso, nel momento in cui si compie, si cerca subito di ridimensionare ricorrendo alla logica dello scandalo preconfezionato.Non è un caso che di questo atteggiamento si faccia portavoce anzitutto la rete, magnifico luogo di relazioni, certo, ma anche ricettacolo di semplificazioni acritiche. Il risalto dato alle accuse della prima ora è del tutto sproporzionata rispetto all’attenzione riservata, per esempio, alla successiva testimonianza di Adolfo Pérez Esquivel (argentino, attivista dei diritti umani, premio Nobel per la pace), che ha personalmente garantito dell’assoluta estraneità del cardinal Bergoglio rispetto all’operato della giunta militare di Buenos Aires.Il punto è che quanti protestano per la compromissione – vera o immaginaria – della Chiesa nelle vicende della Storia, vagheggiano in segreto una Chiesa fuori dalla Storia: una realtà astratta e da ultimo irrilevante, invisibilmente deputata alla gestione dell’invisibile. Come il santo di cui ha scelto il nome, Papa Francesco ha invece l’abitudine di frequentare la concretezza e già questo è un elemento di disturbo. Il fatto poi che ogni sua parola e ogni sua azione siano contraddistinte da un tratto limpido e coinvolgente deve risultare addirittura intollerabile per chi, alla novità della Storia, preferisce le vecchie storielle del partito preso.
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