mercoledì 20 giugno 2012
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​«Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Con queste parole il Maestro di Galilea inaugurava il tempo della missione, quella per rinnovare l’uomo e il mondo nella verità e nella definitiva libertà. Annuncio di salvezza fino ai confini della terra, fino alla fine del mondo, che la Chiesa, discepola della Parola, rende possibile ogni giorno con la sua gente, con la testimonianza della sua fede. Missione che non si consuma nel tempo, non si esaurirà fino a quando la Parola non sarà capace di convincere il mondo circa la verità e la giustizia. È questo l’impegno che, con rinnovato entusiasmo, rilancia Benedetto XVI convocando la XIII Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi che avrà per tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana», con il chiaro intento di creare il dialogo tra il Sinodo stesso e il prossimo Anno della fede.L’Instrumentum laboris, il testo-base presentato ieri, sembra andare infatti in questa direzione offrendo scenari suggestivi di possibile futuro sviluppo e di interessante premessa al dialogo, sicuramente fecondo, che impegnerà i vescovi del mondo e le Chiese locali a misurarsi con trasformazioni sociali e culturali che stanno profondamente cambiando l’uomo, la sua percezione del mondo, del suo destino e perfino della sua fede. Una Chiesa che, mai stanca di confrontarsi con l’uomo del suo tempo, si rimette in discussione circa il metodo dell’annuncio, la necessità di ripartire dal destinatario del Vangelo, l’uomo nella sua concretezza esistenziale, collocato nella sua storia, nel suo linguaggio, nella sua modalità di essere. Una Chiesa che, sotto l’impulso del Pontefice e il coraggio di una rinnovata primavera evangelizzatrice, sente il dovere di scrutare le nuove vie di comunicazione, di inventare nuove parole per uscire all’aperto e incrociare le parole quotidianamente usate perché siano parole condivise, afferrate dal sacro, dal Vangelo, dalla vita credente. Se esiste un distacco dalla Parola, e per questo una crisi di ascolto e di vita, un’anemia di fede, non può essere solo responsabilità del mondo.La fede non è solo frutto di un percorso cognitivo, non è semplice sforzo intellettuale per arrivare a delle conclusioni alte, non è neppure cieca obbedienza all’autorità della tradizione. È il risultato di un’esperienza capace di aprire l’agire umano, la conoscenza, il pensiero verso orizzonti imprevedibili, totalmente Altri, che trascendono la realtà e la superano senza schiacciarla, costringerla, offenderla. È luce per interpretare la vita con uno sguardo nuovo, con altra sostanza, è sintonia con un Altro, con Dio avvertito come compagno e non come minaccia, scambio fatto di dialogo franco e aperto, scritto e pronunciato con le lettere del simbolico e la forza del sogno. Lettere del simbolico e la forza del sogno propri del linguaggio del Maestro di Galilea che non ha avuto paura di immergersi nella storia umana. Una fede lontana dal tempo, senza il dialogo con la cultura del proprio tempo, è muta, non serve. La fede è interpretare creativamente la realtà per anticipare nel presente il Regno di Dio, è sostenere con le mani la propria vita e afferrare con i denti la propria carne (cf. Gb 13,14).Il percorso che è stato annunciato ieri è già di per sé una radicale sfida che la Chiesa lancia al suo interno e al mondo, un appello, una domanda fatta a se stessa perché raccolga le sue forze, riconsideri il suo entusiasmo e interrogandosi sulle ragioni del distacco di tanti suoi figli ricostruisca, forte della sua memoria, gelosa del suo fondamento, corroborata dai suoi testimoni, il dialogo interrotto con chi ancora sente urgente il richiamo del Maestro: «Venite a me» (Mt 11,28). Mentre un certo mondo investe le sue parole di fumo in cerca di una Chiesa che certamente ha necessità di fare autocritica, la Chiesa del Maestro, come sempre nella storia, guarda alla sua missione di Vangelo, alla sua luce della verità, per gridarlo dai tetti.
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