giovedì 5 aprile 2012
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​«Questi suicidi li ha sulla coscienza lei!». Parole pesanti come macigni. «La gente non arriva a fine mese, molti si stanno suicidando, e lei, Monti, questi suicidi li ha sulla coscienza». Parole che suonerebbero stonate perfino nel più malfamato dei bar. Parole pronunciate ieri da un leader politico, Antonio Di Pietro, in aula alla Camera durante il dibattito sul dl Semplificazioni. La critica è legittima e necessaria. Ma di fronte alla tragedia di un suicidio, di fronte al mistero e all’abisso di chi decide di togliersi la vita, il silenzio è la scelta più saggia. Purtroppo invece le parole, nel caso di Di Pietro, risuonano nell’aula ma volano diritte e dolorose e insopportabili alle orecchie, innanzitutto, dei parenti di chi ha deciso di abbandonarli uccidendosi, travolto dal dolore, oppresso dal senso di fallimento, senza che nessuno sapesse o potesse aiutarlo a ricuperare la speranza e il gusto di lottare e di vivere, vivere, vivere. Suonano sciaguratissime, se appena si è sfiorati dall’orribile dubbio – Dio non voglia che questa sia stata l’intenzione del leader dell’Idv – di strumentalizzazione di una tragedia personale per lucrare spiccioli di consenso politico. Per un pugno di voti. Non vogliamo credere che possa essere così. Vogliamo credere in un errore dettato da un eccesso di foga oratoria. Se così fosse, arriveranno le scuse. Non tanto per Monti, ma per chi non c’è più, e la cui tomba esige solo il silenzio. E la preghiera.
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