martedì 21 aprile 2015
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​Molti di quei morti non li troveranno mai, e intanto un altro barcone è naufragato, e altri ancora, probabilmente, stanno per mettersi in viaggio: stracarichi di uomini e donne che spesso non hanno mai visto il mare, e che, mentre cala la notte, guarderanno atterriti attorno a loro l’immensità dell’acqua nera. Intanto in Europa si starà discutendo di date, di vertici, di ordini del giorno – e nuovi barconi zeppi, con il motore che s’imballa e stenta, andranno lenti verso il loro destino. Sono molti anni, ormai, che si muore nel Mediterraneo, e ci deve essere al fondo una ragione per l’inerzia con cui l’Europa – non l’Italia, che aiuta come sa e come può – lascia che si ripetano le stragi. Fino a un sussulto, quando il numero dei morti batte ogni precedente; per, allora, andarsi a inchinare davanti alle bare – sempre che siano almeno centinaia, però. Il Papa domenica all’Angelus ha detto di quei morti: «Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore...». Uomini come noi, certo, nessuno lo oserebbe negare. Eppure in quei volti neri, in quegli stracci, in quelle lingue incomprensibili, davvero noi europei riconosciamo «uomini come noi»? O non invece altri da noi, miserabili, forse pericolosi, se non proprio invasori? Basta guardare, alla Stazione centrale di Milano, i gruppi di sfiniti profughi siriani, e come i viaggiatori istintivamente, senza magari ben sapere chi siano, ne girino alla larga – stringendo, senza forse accorgersene, più forte la borsa nella mano. Del resto, le migrazioni procedono spesso a questo modo. «Generalmente sono di piccola statura, di pelle scura, non amano l’acqua e molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane; si costruiscono baracche di legno nelle periferie delle città dove vivono gli uni vicino agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti, fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che sono dediti al furto e che, ostacolati, diventano violenti». Non è l’analisi di un populista dei giorni nostri, ma la relazione al Congresso americano dell’Ispettorato per l’immigrazione, nel 1912, e si parla di italiani. Con gli stessi accenti che si sentono oggi nei bar, come nella pancia della gente: quelli delle barche sono scuri, miserabili, stiano a casa loro... Quell’«uomini come noi» di Francesco non è retorica, ma esperienza tramandata tra generazioni. La famiglia di Bergoglio si imbarcò a Genova per il Nuovo Mondo nel 1929. Appena due anni prima il "Principessa Mafalda", carico di migranti e diretto in Argentina, era andato a fondo nell’Atlantico, 314 morti. Il ricordo era fresco, la paura viva, eppure, ugualmente, dall’Italia si partiva.La commozione del Papa all’Angelus sembra quello di chi ha sentito, in casa, l’eco di memorie, di saghe di vita e di morte. Cercavano una vita migliore, ha detto dei naufraghi dell’altra notte, «cercavano la felicità». Cercavano di vivere, e di fare vivere i loro figli. Avevano alle spalle non solo la fame ma la guerra, e spesso anche la ferocia del jihadismo islamico. Per vivere, solo per questo hanno affrontato deserti, prigionie, sete, minacce, fino al mare che li separava dal mondo libero. E ora si parla di affondare i barconi, o di presidiare le coste libiche. Servirà forse, all’Europa, almeno a non vedere; ma si potrà fermare un esodo epocale, si potrà fermare la storia con i pattugliamenti e i controlli? Una sfida molto grande sta davanti a un’Europa certa, come di ovvietà, di tutti i diritti dell’uomo: il presentarsi alle porte, sfiniti, di centinaia di migliaia di uomini come noi. Davanti a questi numeri tremano i nostri princìpi egualitari. Si tende a pensare a "tappare" quel flusso inarginabile di profughi, a fermarlo, come un’emorragia che ci travolge. Eppure non possiamo non sapere che chi è incalzato dalla guerra e dalla persecuzione ha il diritto di fuggire, e di cercare di vivere. Lo faremmo anche noi. Lo hanno fatto, per fame, dalla fine dell’800, milioni di italiani. Ed erano, ci ha detto papa Bergoglio, nipote di piemontesi che hanno traversato l’Oceano, uomini: uomini e donne e bambini. Esattamente come noi.
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