martedì 7 luglio 2015
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Si respira molta confusione e preoccupazione in Europa e in Italia dopo la vittoria del no al referendum greco. Viviamo in una società e in una cultura nella quale (non solo sui mercati finanziari) c’è una ricerca comprensibile, ma a volte ossessiva, di prospettive stabili e di immunizzazione dai rischi, e quello che più agita l’opinione pubblica è sapere che dopo queste vicende l’incertezza aumenterà e l’aspirazione alla tranquillità non sarà soddisfatta. Con più di 340 colleghi lo scorso ottobre abbiamo scritto un appello (pubblicato da "Avvenire", http://tinyurl.com/mynlfsc) incui sostenevamo che l’Eurozona era in mezzo al guado, in una situazione insostenibile, tra le due sponde dell’integrazione politica e della dissoluzione dell’euro. E proponevamo alcune misure che ci avrebbero potuto portare fuori dalla crisi: il Quantitative easing, una politica fiscale espansiva comune dell’eurozona, l’armonizzazione fiscale per porre fine all’assurdo dei paradisi fiscali interni all’area euro e una ristrutturazione del debito eccedente il 60% del Pil per l’intera eurozona, attraverso un acquisto e una ristrutturazione a opera della Bce (il piano Wyplosz). Fa piacere vedere che nell’editoriale di domenica del direttore del Sole 24Ore molti di quei punti, e soprattutto l’ultimo se non nel dettaglio sicuramente nelle linee generali, vengono considerati fondamentali per la soluzione della crisi. Quali dei punti dell’appello sono stati realizzati? Di fatto, soltanto il primo, anche se si tratta di un punto molto importante perché il Quantitative easing è stato varato dopo poco più di un mese. Assieme ad esso abbiamo potuto osservare soltanto alcuni timidi passi, ancora del tutto insufficienti, in direzione della politica fiscale comune e della lotta all’elusione fiscale. La previsione contenuta in quell’appello si è rivelata purtroppo corretta. La parziale e insufficiente realizzazione dei suoi punti è servita a portare fuori dalla crisi Paesi come Italia, Spagna e Portogallo e servirà con tutta probabilità a proteggerli anche nella fase di turbolenza attuale. Ma non è servita ad arginare la deriva della Grecia, che non a caso non ha beneficiato del Quantitative easing e degli acquisti di titoli pubblici della Bce. Cosa succederà adesso e che cosa conviene fare? I termini del possibile accordo con la Grecia individuati da tutti sono quelli di un condono parziale del debito in cambio di un programma serio di riforme che faccia ripartire il Paese. Ma gli orgogli politici e gli impegni con i rispettivi elettorati rendono difficilmente praticabile questa soluzione. Se accordo non ci sarà, la Grecia sarà di fatto fuori dall’euro e comincerà un periodo di "concorrenza" tra ricette valutarie nel quale anche tutti gli altri Stati membri, alla luce dell’esperienza greca, saranno costretti a pesare con realismo e senza dogmatismi vantaggi e svantaggi delle due soluzioni. Per uscire al meglio da questa vicenda, sarebbe necessario un cambio di prospettiva culturale. Per capire che non bisogna fare di alcuni principi economici dei feticci, valutandone l’effettiva utilità ai fini del bene comune e mettendo molta più cooperazione, solidarietà e fraternità negli ingranaggi dell’economia.
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