venerdì 19 luglio 2013
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Ora che emerge che i due fratellini morti in provincia di Brescia erano stati sedati e non avrebbero avuto le forze per sfuggire al rogo della loro casa, i contorni della tragedia di Ono San Pietro si fanno più aspri e intollerabili. Davvero, dunque, il padre dei ragazzi ha fatto ciò che minacciava nelle continue liti con la ex moglie; davvero quei grumi rabbiosi di parole che avevano spinto la donna a dieci denunce per stalking si sono materializzati, in un mattino d’estate. Emergono particolari che sgomentano – l’ultima telefonata del figlio maggiore, dodicenne, alla madre: «Vienimi a prendere!», e subito il telefono strappato di mano, e all’altro capo del filo la voce del padre che si gonfiava di insulti e minacce.  Ciò che è accaduto sotto gli occhi di un paese attonito è il vertice della tragedia: nel colmo dell’odio un uomo non si è accanito sulla compagna, ma ha spinto la sua furia più in là, annientando ciò che la ex moglie aveva di più caro. E, forse, ciò che di più caro aveva egli stesso, dentro un rancore cieco. Una tragedia greca, nel Bresciano: storia impazzita di un padre e una madre divisi, in cui i figli, da persone, sono stati trasformati in oggetti, in cose da annientare per fare, all’altra, il più straziante male. È unica nella sua ferocia, la storia di Davide e Andrea, eppure il suo deflagrare fa posare gli occhi sulla condizione di tanti altri bambini, educatamente contesi fra genitori che ormai si detestano, sballottati tra pronunciamenti del giudice e gelosie e rivalse. Quei bambini che, quando va bene, aspettano con lo zainetto in spalla, il sabato mattina, che passi il padre a prenderli; quelli che in estate vanno al mare con la madre, sognando magari che all’ultimo momento quei due facciano la pace, e si parta insieme, come per un miracolo. Figli che invece si ritrovano spesso usati come inconsapevoli pedine di una incattivita partita. I soldi, i vestiti firmati comprati dal coniuge più ricco per conquistarsi i ragazzi, nei casi più fortunati. Gli insulti, le minacce, nelle storie peggiori; il fare dello stesso figlio e del suo amore un’arma contundente da scagliare contro l’altro. Il rogo di Ono San Pietro – dove il fuoco doveva distruggere lo stesso padre, i figli, e, come in un allucinato incubo, tutto il loro mondo – è un vertice dell’annichilimento che ci lascia atterriti. Però, restando ben lontani da questa follia, quanti sono ormai i figli contesi, tirati da una parte e dall’altra, perfino rubati alle volte – e allora la storia finisce sui giornali. Non leggiamo mai invece le storie dei bambini sballottati con buone maniere fra due case, dei bambini dalle ore contingentate, dalle domeniche rigidamente regolamentate, a turno. E questi figli spartiti a metà, ostaggi vezzeggiati o strappati di mano, sono sempre di più; e la dinamica che a Brescia si è fatta follia, si sviluppa però garbatamente, sottilmente anche in non poche case "normali": è la dinamica che, nella gelosia e nel rancore, non vede più un figlio, ma un oggetto da strappare all’avversario. Nel moltiplicarsi dei fallimenti coniugali quanti piccoli, silenziosi ostaggi. La madre di quei bambini ora grida di essere stata lasciata sola, nonostante tutte le denunce. Viene da chiedersi se, togliendo l’affidamento a quel padre, questa tragedia non si sarebbe potuta evitare. Viene da chiedersi anche se la legge e gli strumenti che disciplinano questo delicatissimo tipo di contese sono abbastanza agili e pronti, di fronte a storie che possono farsi esplosive. Magari in poche ore, quando per una parola o un gesto il rancore improvvisamente tracima, devastante. E un padre assopisce i figli bambini, che pure ama tanto, con un sonnifero, e guarda sprofondare nel sonno i loro volti infantili, con un disegno atroce nella testa. E poi, quei due sulla prima pagina dei giornali, ma per un giorno soltanto; quei due che nella foto sorridono, e appena l’altro giorno, sotto casa, in cortile, giocavano a pallone.<+copyright>
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