lunedì 11 giugno 2012
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L'attuale crisi economica ha fatto emergere, nel nostro tessuto sociale, problematiche e bisogni che oramai si pensava fossero quasi completamente debellati nei Paesi più ricchi: crescono oggi in misura sempre più preoccupante nuove e tradizionali forme di povertà, compresa quella alimentare. Quasi il 6% delle famiglie italiane si trova in una condizione di disagio alimentare e il perdurare della crisi economica potrebbe accrescere ancora questa area di malessere estremo, come sembrano indicare i dati sulla riduzione dei consumi alimentari.Di fronte a questo allarmante scenario, le istituzioni hanno la responsabilità di offrire risposte concrete e convincenti, soprattutto sul fronte del rilancio della crescita. Ma da sole non possono farcela: nell’ottica di un’effettiva sussidiarietà, esse hanno necessità di valorizzare l’iniziativa privata e il Terzo Settore vitale e presente, in un’ottica di sostegno e di cooperazione. È oggi, infatti, quanto mai indispensabile un’azione sinergica di cittadini, istituzioni e imprese, profit e non profit, per poter far fronte con efficacia alla pressante domanda di solidarietà che i «nuovi poveri» ci presentano, in particolare sul fronte della povertà alimentare. (...)È importante sottolineare con forza che, accanto a gravi situazioni di povertà, di mancanza delle risorse necessarie per il più elementare dei bisogni come l’alimentazione, si verificano anche degli sprechi inaccettabili. La loro entità è talmente rilevante da rendere necessaria una riflessione: è sconfortante notare che la quasi totalità dell’eccedenza alimentare italiana, ossia circa il 17% dei consumi complessivi, che di per sé potrebbe rappresentare una ricchezza da sfruttare e distribuire, in realtà non venga in alcun modo ri-utilizzata e finisca letteralmente nella spazzatura. Queste eccedenze andrebbero impiegate meglio, valorizzandole in un’ottica solidaristica e re-distributiva: quello che è inutile per alcuni, e che quindi viene sprecato, si può e si deve trasformare in qualcosa di utile per chi ne ha bisogno. È proprio a partire dall’esistenza di questi sprechi che nasce un nuovo stimolo per l’economia del dono.La lodevole azione di associazioni impegnate su questo fronte da molti anni, come nel caso della Fondazione Banco Alimentare, costituisce un valido esempio di efficaci strategie d’aiuto, che mostrano, fra l’altro, che la riduzione degli sprechi alimentari non solo è doverosa, ma possibile e alla nostra portata.Occorre uscire, tuttavia, da una logica meramente assistenzialistica e affrontare i temi della riduzione degli sprechi e dell’aiuto ai più bisognosi in un’ottica più organizzata e sistemica, diffondendo, ad esempio, pratiche per una migliore gestione delle eccedenze nelle imprese della catena alimentare, dalla trasformazione alla distribuzione, sensibilizzando infine le famiglie sull’adozione di abitudini di spesa più efficienti.Non è vero che aiutare i poveri affamati costituisca soltanto un atto di soccorso benevolo da realizzare sulla base di una «eccedenza » di generosità e altruismo di singoli donatori; molto dipende da come l’industria agro-alimentare è organizzata e capace nel gestire le proprie eccedenze di prodotto. (...)Non si tratta soltanto di «dar da mangiare agli affamati», ma anche di orientare gli investimenti in innovazione verso modalità produttive, distributive e di consumo in grado di valorizzare il più possibile i beni alimentari, evitando di trasformare la ricchezza dell’eccedenza in spreco e povertà alimentare.Solo così, perseguendo come obiettivo uno sviluppo equo e sostenibile, il beneficio e la solidarietà a favore di pochi si trasformeranno in solidarietà e crescita per l’intera società.
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