venerdì 17 maggio 2013
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Il referendum di Bologna può sembrare un fuocherello modesto, localizzato, tanto innocuo nei suoi possibili effetti quanto velleitario nei suoi propositi; ma è un tizzone gettato ad arte accanto a un barile di polvere. Vogliono, i promotori, togliere il finanziamento comunale alle scuole materne della città per quella parte (pari allo 0,8 per cento del totale) che il Comune assegna alle scuole paritarie. E chiamano questa scelta, a loro parere epocale, una questione di lotta e di vittoria del 'pubblico' sul 'privato'. C’è qualche dotta ignoranza nel sussiego che mostrano, a partire dal nome 'articolo 33' che rimanda evidentemente alla Costituzione e alla libertà di istituire scuole 'senza oneri per lo Stato'; su ciò andrebbero rimbeccati subito, grezzo per grezzo, perché a Bologna lo Stato non c’entra col sussidio agli asili paritari, anzi riceve anch’esso qualcosa dal Comune per i suoi asili. Con più serietà, andrebbero invitati a far di conto; un alunno della scuola materna comunale costa alle casse comunali 6.900 euro all’anno, un alunno iscritto alla scuola materna privata 600; dite se è un onere o un risparmio. Di più, i promotori mostrano di ignorare che il concetto di scuola 'paritaria' nel sistema integrato della legge n. 62 del 2000 include egualmente le scuole gestite da privati e le scuole gestite da enti locali. Esse stanno entrambe, e insieme, a fronte della scuola statale. E tutte svolgono un servizio pubblico, qual è quello dell’istruzione. La sussidiarietà con la quale il Comune di Bologna provvede in proprio, è sostenuta e affiancata dalla ulteriore sussidiarietà delle scuole materne patitarie promosse da soggetti privati che accolgono 1.736 bambini. Il contributo che alcuni vorrebbero sopprimere e dirottare coprirebbe il costo di soli 147 posti in asilo comunale. Che guadagno. Che guadagno, vogliamo dire ora non più in rozzi termini economici, ma in termini sociali, sul piano della condivisione dei bisogni di una città, di una comunità, di un villaggio umano. E poi in termini culturali e giuridici, per ogni sistema sociale che si dà compiti comuni e li assolve nel rispetto della libertà dei suoi membri, e nella concezione dell’autorità come servizio. Così va intesa la scuola, infatti, servizio funzionale all’educazione umana, perché gli esseri umani vengon prima degli istituti. L’uomo è, lo Stato serve. È stolto partire dal concetto di una scuola­istituzione, ideata dal principe, e poi ficcarci dentro l’educazione omologata; al contrario è il progetto educativo che si propone lo sviluppo della persona umana nella pienezza delle sue potenzialità ciò che reclama una scuola adeguata al bisogno. E si comprende bene perché, davanti alla grandezza del compito, il grande principio che regge l’articolo 33 della Costituzione è la 'libertà'; perché la libertà è correlata alla cura e all’educazione che spetta ai genitori, alla famiglia, con lo sguardo anche sulle inclinazioni e aspirazioni del figlio. È qui dove il tizzone referendario cerca l’innesco esplosivo; non è il denaro che conta, è l’ostilità verso la scuola materna libera (il più delle volte cattolica) dove l’impegno educativo non è mestiere ma vocazione, cura, partecipazione appassionata, e dove si rendono visibili e trasmissibili 'in nuce' i valori che i genitori degli alunni tengon preziosi. È qui la vera sfida: Qui tient l’école tient l’avenir, fu il motto di Jean Macé nella tempesta laicista della scuola di Francia, condotta da Jules Ferry nella Terza Repubblica. Talvolta gli epigoni ne fanno sentire ancora il tardivo rigurgito. Ma che la posta sia quella è vero, è l’avvenire. Di tutti. Altro che quattro soldi.
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