venerdì 24 ottobre 2014
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Non c’è giustizia laddove prevale la vendetta. Non c’è libertà né equa sanzione laddove regna la regola del sospetto, laddove resiste la tentazione millenaria del capro espiatorio al quale addebitare non le sue colpe, ma tutti i mali della società. Non c’è diritto, non può esserci pace, laddove uomini fanno mercato di altri uomini. Non c’è verità né speranza laddove chi dovrebbe operare per il bene comune si lascia corrompere e fa gli interessi di chi ha già tanto potere e paga per averne sempre di più.Che grande lezione ha impartito ieri al mondo Papa Francesco, parlando a una delegazione dell’Associazione internazionale di Diritto penale. Una lezione universale, che perciò resta valida a ogni latitudine e sotto tutti i tipi di governo e ordinamento giuridico. Non tuttavia un discorso generico, bensì – a tratti – quasi "tecnico", calato interamente nelle problematiche reali che su tutto il pianeta riguardano le leggi, i delitti, le pene, le prigioni. Sopra a tutto, sempre – ci ha ricordato – c’è la «persona umana» con la sua dignità, sia essa vittima o colpevole di reato. E il metodo più valido, per qualsiasi sistema penale, è «la cautela nell’applicazione della pena». Che non vuol dire impunità, ma proporzionalità.Il Pontefice è andato, insomma, alle radici del concetto di giustizia, dimostrando in maniera solare come questa, quando è vera, coincide con la visione cristiana del mondo. L’alternanza di citazioni dal Vangelo di Luca, dal Catechismo della Chiesa Cattolica e dall’enciclica Evangelium vitae di san Giovanni Paolo II, con altre da documenti ufficiali di organismi delle Nazioni Unite fanno risaltare questo aspetto con grande efficacia.Non si è fermato, il Papa, a quella pur meravigliosa opera di misericordia che è la visita ai carcerati. È andato più a fondo, con sguardo lucido e competente. Per esempio sulla pena di morte, che è vendetta di Stato e quindi il contrario della giustizia, ed è ancora diffusa, così come la tortura. Entrambe possono assumere forme diverse rispetto a quelle "classiche". Subdolamente, sono in grado di mostrarsi per ciò che non sono, talvolta sono perfino spacciate per "giustizia" dal regime di turno. Si può pensare che ciò riguardi solo poche decine di Paesi. Che dire allora dell’ergastolo? Come definire quelle tre parole sulla scheda personale di un recluso ("Fine pena: mai") meglio di quanto ha fatto Francesco, ovvero «una pena di morte nascosta»?Nascosta agli occhi della società, come accade anche qui in Italia agli ergastolani "ostativi" (caso unico in Europa), cioè coloro destinati a morire in cella. Avranno commesso delitti gravissimi, è vero. Ma la nostra Costituzione stabilisce che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Forse varrebbe la pena di verificare se l’operazione è riuscita, caso per caso.È questo, del resto, il porto di civiltà nel quale Papa Bergoglio ha invitato tutti gli Stati ad approdare: quello del principio pro homine, «della dignità della persona umana sopra ogni cosa». Dignità che può essere negata in qualsiasi struttura di detenzione, nei «moderni campi di concentramento», negli ospedali psichiatrici, negli istituti minorili. Perché i vecchi, i bambini, i malati, i disabili non dovrebbero essere privati della libertà personale o, comunque, bisognerebbe limitarne il castigo.Così come bisognerebbe arginare il ricorso al carcere preventivo, di cui spesso si abusa: imprigionare un uomo senza averne appurato la colpevolezza è «una pena illecita occulta» e queste – ha sottolineato il Papa – «non sono favole». E non sono favole, ma atroci realtà, la tratta degli esseri umani, la miseria e le guerre alle quali fa da contraltare (spesso l’altra faccia della medesima medaglia) la corruzione dei potenti. Formidabile sintesi di puro diritto e di autentici, inviolabili diritti umani – quella di Francesco – in un’epoca in cui si tende a estendere quest’ultimo concetto fin quasi a banalizzarlo.P.s.: L’altroieri nel carcere di Lucca un detenuto di 25 anni si è tolto la vita impiccandosi alla finestra del bagno. Era entrato in cella il giorno prima. È il quinto suicidio dietro le sbarre negli ultimi sette giorni, soltanto in Italia.
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