venerdì 8 novembre 2013
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Difficile dire se questa sia infine la volta buona, dopo dieci anni di incomprensioni, rotture, speranze di accordo svanite dopo estenuanti trattative. Ma l’impressione è che se non si riuscirà a riprendere il filo del negoziato sul nucleare durante questo nuovo incontro diplomatico a Ginevra fra Iran e i rappresentanti della comunità internazionale, allora è difficile che sarà possibile farlo in futuro.Perché oggi l’Iran sembra essere finalmente determinato a ottenere un onorevole compromesso, superando i suoi ben noti tatticismi e improvvisi cambi di linea: il nuovo presidente ha messo in campo la miglior squadra possibile, con diplomatici che conoscono bene l’Occidente e che in Occidente sono stimati. Rohani stesso sta usando tutto il suo potere per convincere chi, in Iran, si ostina a non voler un accordo, offrendo il fianco alle critiche – che non sono infatti mancate, e anche molto aspre – da parte degli ultraradicali e della fazione più irriducibile dei pasdaran.Ma l’aspetto che oggi rafforza l’ottimismo è dato dalle dichiarazioni pubbliche di sostegno alle trattative da parte della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che per anni aveva fatto "da tappo" rallentando e vanificando ogni accordo. Non che abbia meno sfiducia verso l’Occidente; semplicemente, non vuole passare come l’ostacolo alle trattative agli occhi di un’opinione pubblica che le appoggia fortemente. Inoltre, nel regime iraniano prevalgono ora i pragmatici: se vi sarà la possibilità di chiudere un accordo non umiliante, ben venga. Altrimenti, dicono, si continuerà sulla strada intrapresa. E Khamenei sembra condividere questa posizione, adesso che sono chiari i costi insostenibili della linea di sfida al mondo intero, rivelati dalle sanzioni economiche e politiche imposte al Paese. Condizione fondamentale che pongono gli iraniani è che vi sia tuttavia una sorta di cammino con passi reciproci e concordati, i quali da una parte garantiscano il diritto alla tecnologia nucleare civile che Teheran rivendica come essenziale e dall’altra rasserenino la comunità internazionale sulla trasparenza del programma di arricchimento (sciogliendo ogni dubbio sulle sue possibili ricadute militari).Di fatto, i moderati oggi al potere a Teheran hanno bisogno di un qualche successo da potere rivendicare, così da rintuzzare gli attacchi dei radicali che li accusano di essere troppo morbidi e concilianti con l’Occidente. Negli incontri di questi giorni si vedrà se i cosiddetti P5+1 che siedono al tavolo negoziale (ossia Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania) sapranno trovare una linea comune che vada in questa direzione. Perché i "boicottatori professionisti" di ogni possibile accordo non stanno solo a Teheran.Ve ne sono molti anche nel nostro campo: come chi negli Stati Uniti sostiene che occorra in ogni caso aumentare le sanzioni, dato che sembrano aver "ammorbidito" in questi mesi il regime iraniano. O chi pone quale condizione per una loro riduzione la rinuncia irreversibile e preliminare a ogni forma di arricchimento dell’uranio. Tesi che sembrano fatte apposta per rovesciare il tavolo delle trattative, dato che se vi è una cosa che il presidente Rohani non si può permettere è proprio di essere umiliato o messo platealmente all’angolo.La Casa Bianca si destreggia come può contro questo partito trasversale. Ma quello che manca da tempo è una voce dell’Europa che suoni meno schiacciata sugli Stati Uniti. Non si tratta di dividere il fronte occidentale o fomentare illusioni iraniane su fratture inesistenti: ma forse è tempo che l’Europa torni a parlare con la sua voce, osando un poco di più rispetto alla linea di tetragono formalismo giuridico purtroppo cara a Lady Ashton, Alto Rappresentante europeo. Del resto, se non ora, quando?
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