giovedì 11 febbraio 2016
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Qui si tratta di libertà di coscienza, e di buon diritto. Nessuno cerchi alibi. E nessuno tenti di nascondersi dietro il (presunto) dito “regolamentare” alzato del presidente della Cei. Il cardinal Bagnasco, nella sua Genova, è stato interpellato a proposito del ddl sulle unioni civili e l’adozione omosessuale e ha auspicato che in Parlamento «tutti», qualunque opinione abbiano, «possano esprimersi», facendo valere posizioni e obiezioni in assoluta «libertà di coscienza» visto che sono in discussione «temi fondamentali per la vita della società e delle persone». Un augurio da pastore e da cittadino, che qualche politico, e persino qualche solitamente accorto membro del governo, ha tentato di trasformare in “diktat” su una (presunta) preferenza tecnica per il voto segreto d’aula. I modi del voto sono affare di chi presiede e compone il Parlamento. Ma il giudizio sull’operato di costoro compete a tutti noi. E la ferita aperta, ancora oggi, non sono certo gli autorevoli, rispettosi e democratici auspici di un vescovo, ma le disposizioni tese a limitare la libertà di coscienza dei senatori del Pd. I cattolici si aspettano dagli eletti consapevolezza, coerenza e trasparenza, altri – invece – inclinano agli ordini di scuderia. Lo ripetiamo per l’ennesima volta: “a ciascuno il suo”. E se davvero si vuole uscire dall’angolo dell’attuale brutto testo del ddl Cirinnà, si dia corpo a norme sulle unioni omosessuali («basterebbe un pomeriggio», dice il gran giurista Cesare Mirabelli) che rispettino persone e Costituzione.
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