mercoledì 11 febbraio 2015
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​Il messaggio per la giornata mondiale del malato è costruito attorno a un’invocazione di sapienza «Insegnaci a contare i nostri giorni / e acquisteremo un cuore saggio» (Sal 90,12). Anche la sapienza della medicina moderna, da molti ormai denominata ambiguamente "biomedicina" è cresciuta enormemente e si dibatte tra paradossi e contraddizioni che si prestano a interessanti analisi. Nell’ambito della genetica, per esempio, mentre da una parte si cerca di scoprire la causa di molte patologie, di fronte alla difficoltà a trovare le soluzioni adeguate essa conduce spesso a proporre come terapia l’"eliminazione del malato". Comica ( se non fosse drammatica) anche la semplificazione "riduzionista" che, scatenando la "caccia al gene", è arrivata a proporci fantasiosi collegamenti come quelli del gene dei single o della timidezza finanche a quello del suicidio (per il quale si vorrebbe preparare anche un kit ad uso fai da te). Tra queste sfide della sapienza medica c’è anche il sogno di allungare la durata della vita che, nell’immaginario collettivo, è spesso percepito come speranza di "vivere quasi per sempre". Un sogno che dovrebbe generare entusiasmo se non presentasse altre drammatiche contraddizioni quando, scontrandosi con le condizioni di questo "vivere ", arriva ad un corto circuito: "vivere il più possibile ma... morire in fretta quando e come decido io". È certo impossibile non riconoscere gli enormi progressi della medicina e della organizzazione sanitaria come quelli che hanno permesso di esser rianimati e salvati da condizioni che in passato portavano a morte immediata, oppure quelli di terapie che possono allungare la vita anche con patologie inguaribili assai aggressive. Il problema sorge quando queste stesse pratiche lasciano il paziente in uno stato di vita difficile e precaria. Così, mentre la medicina ci racconta di questi successi nell’allungarci la vita, essa stessa è impegnata a prepararci le cliniche della "dolce morte" (come viene chiamato il suicidio assistito). Come recentemente riportato dal presidente di Exit Italia (associazione che si occupa di aiutare chi vuole ricorrere al suicidio assistito), è stata elogiata la Svizzera che la fa da padrona in questo campo. Negli ultimi tre anni hanno usufruito di questo servizio soprattutto tedeschi ma anche 50 italiani, mentre altri 27 sono in lista di attesa. Un vecchio adagio dei nostri nonni recitava: «Nella vita quello che conta è la salute», e la sua logica stava nel sottolineare in modo positivo il valore della vita. E cioè che quando l’esperienza della fatica e del dolore minano la vita, allora ci accorge del suo valore. Certo esso insinuava anche che la "qualità" potesse contare più della sua durata, ma in quanto questa "qualità" non era riferita ai meri parametri fisici ma trovava il suo numero nel significato e nel valore stesso del vivere, della fatica e del dolore. È facile constatare che proprio chi ha convissuto poco o nulla con la fatica e il dolore sente più fortemente l’impatto con una esperienza di malattia, di difficoltà e di limite quando questa si presenta. Forse perché è difficile concepire "la vita " come un bene quando non se ne riconosce il valore, ma ancor più quando essa è considerata proprietà e non è riconosciuta come "data". Quando non si riesce più a gestirla e possederla come ci si era illusi di fare da sani, essa sembra non valere più niente e la morte o la vita sono considerate come un "nulla". In questa logica si può invocare il diritto a morire, non solo per se stessi ma anche per gli altri, perché si ritiene un bene accorciare anche la vita dei quali la qualità è da ritenersi sotto gli standard che noi abbiamo definito. Standard che la moderna genetica medica ha già codificati per determinare addirittura se sia un bene (un diritto) nascere. Di fronte a tale situazione il messaggio per la giornata mondiale provoca il coraggio di una domanda di sapienza diversa ,quella del cuore. Senza questa sapienza è difficile comprendere quanto scrive Papa Francesco nel suo messaggio, cioè che «il tempo passato accanto al malato è un tempo santo» e che una «grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla "qualità della vita", per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!». E lo spessore di questa qualità ce la spiega Benedetto XVI nella Spe Salvi (n. 27): «La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente della vita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita. Allora "viviamo "».
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