giovedì 3 ottobre 2013
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​Non tutti i mali vengono per nuocere. E persino una crisi politica insensata può produrre esiti utili e buoni per il Paese. Certo, la fiera delle chiacchiere e delle dietrologie è già ricominciata, ma a contare sono solo i fatti. E i fatti dicono che il «governo di servizio» al quale i "falchi" del Pdl, incuranti delle conseguenze, avevano dato il benservito c’è ancora, ed esattamente nella stessa formazione. Anzi, c’è più governo. Perché più saldo ne è il mandato e più evidente ne è la qualità politica. E c’è più servizio da svolgere. Perché, dopo le rigorose comunicazioni del presidente Enrico Letta al nostro Parlamento, risulta chiarissima la duplice missione riformatrice – sul piano economico-sociale e su quello politico-istituzionale – di un esecutivo che era e resta "eccezionale" sia per la base parlamentare di larga intesa che lo sostiene sia per le urgenze che è chiamato ad affrontare.Non c’è dubbio che l’insieme di questi fatti confeziona una notizia davvero buona e riconsegna un fardello davvero pesante e onorevole sulle spalle del premier e dei suoi ministri. Ieri, alla vigilia dei voti nelle due Camere, mettendo in pagina i numeri dei vuoti occupazionali che piagano l’Italia, abbiamo titolato sul gran «lavoro da fare». Oggi, a fiducia incassata dal governo, vorremmo insistere sulla fiducia che il governo stesso deve da qui in avanti saper comunicare e moltiplicare, restituendola, così, con saggia e concreta cura, agli italiani.Il presidente del Consiglio ne ha il dovere e ne ha la forza. Non meno dovere di quanto già sentisse e gli toccasse, e molta più forza di quanta si potesse riconoscergli all’ingresso a Palazzo Chigi. E questo dovere e questa forza non li ha per una congiuntura favorevole o per la calcolata bizzarria di questo o quel capopartito o capocorrente, ma perché intelligentemente e politicamente ha saputo sconfiggere lo scriteriato "partito della crisi", che – come sa ormai tutto il mondo – schierava stavolta in prima fila un esacerbato Silvio Berlusconi e la cerchia neoforzista del suo consiglio di guerra, ma che allineava in bell’ordine anche sinistra vendoliana, grillini, piccole destre e pezzi del Pd (e che conta sulle incursioni periodiche, non esattamente ininfluenti e quasi mai disinteressate, di altri poteri, statali e no, finanziari e mediatici). Non c’è dubbio, però, che decisiva per la vittoria sia stata la scelta di Angelino Alfano, vicepremier, segretario in carica e leader di una area importante dell’attuale Pdl, di coprire il fianco destro del governo con senso di realtà e di lealtà, e con la decisa moderazione di chi non pensa al trasloco in altri campi, bensì alla ristrutturazione della propria casa politica di riferimento, che è quella del Partito popolare europeo.Siamo, insomma, all’esito meno prevedibile e più auspicabile di un’avventura alla quale non si sarebbe dovuto dare neppure inizio. Qualcuno penserà magari che di tutto questo resteranno negli annali soprattutto le contraddizioni (per i fan gli «sparigli», per gli avversari le «contorsioni»...) di un anziano dominus della politica italiana che alla fine, votando con gli occhi lucidi la fiducia al governo Letta-Alfano, ha fatto l’esatto contrario di ciò che aveva dichiarato di voler fare nella sua ultima battaglia parlamentare prima di una lunga interdizione dai pubblici uffici. Per noi, invece, ciò che più conta è che finalmente il bene comune abbia finito per prevalere sugli interessi personali e di fazione. In Senato e alla Camera, ieri, si è visto accadere questo, e non era affatto scontato. Ora bisogna farlo succedere nella vita degli italiani.
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