martedì 26 agosto 2014
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Nel replicare a un mordente articolo di Dario Antiseri a difesa della scuola paritaria cattolica, pubblicato nei giorni scorsi sul Corriere della Sera, sullo stesso quotidiano Tullio Gregory cade in triti e ritriti luoghi comuni, contro i quali si è speso ieri anche il ministro Stefania Giannini parlando al Meeting di Rimini. L’illustre studioso mette in dubbio, innanzitutto, il «livello culturale» delle scuole paritarie, affermando «come esse divengano spesso scuole di carità, garantendo esiti sempre positivi dei curriculum scolastici, così da assicurare una tranquilla vita in famiglia, senza ansie per gli esami e per le vacanze»; crede di intravvedere una contraddizione tra la «libertà di insegnamento», giustamente difesa, e il suo condizionamento «da scelte ideologico-religiose precise nella selezione degli insegnanti e dei testi scolastici»; non si esime, infine, dal solito richiamo al «senza oneri per lo Stato», di cui al terzo comma dell’art. 33 della Costituzione. Sul livello culturale, se non si vuole cadere nella diffamazione, occorrerebbe fare adeguate precisazioni. Le scuole cattoliche non rientrano tra quelle della promozione facile; non perseguono scopi di lucro: non a caso, a differenza di altre come i lettori di questo giornale sanno bene, stanno chiudendo per motivi economici con un ritmo che ha sollecitato anche i rilievi di Antiseri, giustamente a sua volta preoccupato per il declino del pluralismo e, quindi, della libertà scolastica. Quanto poi ai condizionamenti che la libertà di insegnamento conoscerebbe nella scuola paritaria cattolica, anche qui ci sarebbe un dato in concreto tutto da verificare. Molto raramente si ha notizia di conflitti tra docenti e istituzioni scolastiche: è solo un indizio, certo, tuttavia non trascurabile. Ma soprattutto è irragionevole porre il problema, posto che le scuole aventi un orientamento religioso sono espressione di un specifica libertà: la libertà della scuola, garantita dalla Costituzione, con cui la libertà d’insegnamento va armonizzata. Come mai un’analoga critica non viene fatta, ad esempio, per un giornale di partito, in cui pure la libertà di manifestazione del pensiero del singolo redattore non può contraddire l’orientamento politico della pubblicazione?Infine il «senza oneri per lo Stato». In effetti l’inciso c’è in Costituzione: ma nel comma terzo dell’art. 33, quello relativo alle scuole meramente private e a proposito della loro «istituzione». Qui però parliamo di scuole paritarie in attività, che sono disciplinate da un comma diverso, il quarto che prevede per i loro alunni «un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali». È strano poi che oggi, mentre si pretende di piegare pur perentorie disposizioni costituzionali a interpretazioni “evolutive” (si pensi solo ai contorcimenti esegetici sull’art. 29, per il quale famiglia è solo quella «fondata sul matrimonio»), nel caso del finanziamento delle scuole non statali si continui a rivendicare un’interpretazione stretta e rigida del dettato costituzionale. Si tratta di un’interpretazione che, in materia, ha lasciato in coda l’Italia rispetto a tutte le grandi democrazie europee: anche nella Spagna zapateriana e nella superlaica Francia le scuole private ricevono sovvenzioni pubbliche. Un altro bel primato!Quanto infine al rigore degli studi, fenomeni come quelli dei successi quasi plebiscitari nell’esame di maturità, relativi all’intero sistema scolastico italiano, dovrebbero pure suscitare qualche riflessione anche in questa vigilia dell’annunciata riforma della scuola italiana.
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