mercoledì 7 marzo 2012
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C’è un’altra emergenza con cui il governo Monti è chiamato a confrontarsi. L’e­mergenza di Azzardopoli, la metropoli virtuale del gioco – legale e no – che sta crescendo a di­smisura e invischia la vita di migliaia di fami­glie, risucchiandola in un gorgo limaccioso, ali­mentato dall’eterna e vana illusione di una vin­cita che «ti sistema». Un’emergenza che è il ri­sultato di una miopia che ha consentito di strut­turare, e radicare come mai prima, pratiche di 'gioco' che rappresentano un vero attentato al­la società. Un’emergenza che non può più esse­re ignorata. E, così come è responsabilmente ac­caduto con lo scottante dossier della crisi fi­nanziaria, il governo si sta rendendo conto di dover passare subito all’azione. Qualcuno, magari, si chiederà: ma che c’entra Azzardopoli con la missione salva-Italia di un governo 'tecnico'? Per fortuna però tanti altri, anche nel governo e in Parlamento, hanno già aperto gli occhi e si stanno facendo le doman­de giuste su un fenomeno esploso ormai a livelli patologici, sino a raggiungere un profilo che si può definire di 'sanità pubblica'. Basta una manciata di dati a inquadrarlo. Gli italiani nel 2011 hanno speso per i giochi (solo quelli lega­li) 76 miliardi di euro, pari a più di 1.200 euro a testa, neonati compresi, otto volte di più di quan­to i privati impegnano mediamente per l’istru­zione. E gli analisti stimano che già quest’anno sarà superata, e di molto, quota 90 miliardi. Per intenderci, 9 miliardi in più del 'conto' che pa­gheremo per tutte le manovre di bilancio vara­te nel 2011, l’anno più drammatico della nostra economia. È una crescita esponenziale favorita dal moltiplicarsi delle offerte, fra lotto e lotterie, gratta e vinci, sale Bingo, videogiochi, casinò on­line, slot-machines, videopoker...

Solo a Roma ci sono 50mila slot: nei locali pubblici è più fa­cile trovare una macchinetta che un biglietto del bus. E, così come sempre, a giocare di più è chi meno ha, con gli effetti devastanti che ciò com­porta sui giocatori compulsivi e sulle loro fami­glie (e con non rare cadute nel campo dell’usu­ra). Siamo, di fatto, al cospetto di una tassa sul­la povertà e sulla dipendenza; a una sistemati­ca sottrazione di risorse ai più deboli. E un argi­ne va posto. Subito. Nei giorni scorsi il ministro Andrea Riccardi ha anticipato che si sta studiando «la possibilità di vietare, come per le sigarette, gli spot pubblici­tari », spesso 'aggressivi' nei toni, certamente nei fatti. Il suo collega Renato Balduzzi ci con­ferma oggi che il dossier è più che aperto. L’ur­genza dev’essere perciò la stessa data nei mesi scorsi alle decisioni sul pareggio di bilancio e sullo spread. Serve una legge che fissi il princi­pio, e ci sono i presupposti sia per vararla in for­ma di decreto, con efficacia immediata, sia per accompagnarla con una campagna sociale che sottolinei i rischi della pratica-gioco. Si dice che 'la pubblicità è l’anima del commercio', ci so­no però commerci senz’anima che non posso­no e non devono essere pubblicizzati. E, poi, è tempo di un cambiamento di visione a 360 gradi. Serve una nuova normativa di setto­re. E serve il coraggio di cominciare a fare a me­no di un po’ delle 'comode' entrate garantite dai giochi. Una rinuncia onerosa, certo, visto che nell’intero 2011 lo Stato ha incassato 13,7 miliardi, l’8,4% (un miliardo tondo) in più sul 2010. La prova? Proprio ieri alla Camera si è di­battuto su un emendamento che ricaverebbe dai giochi (oltre che da maggiori tasse sugli al­colici) i soldi necessari per 10mila assunzioni nella scuola. Forse non se ne farà niente, ma pensiamoci: una norma socialmente impor­tante, 'contaminata' da una copertura social­mente discutibile. È come dire che, se si beves­se e si giocasse di più, si potrebbero assumere altri 10mila prof. Una politica responsabile non può ignorare le ricadute sociali di ogni sua de­cisione, di ogni suo messaggio. Tutto si salda. E giustamente il cardinale Angelo Bagnasco, pre­sidente della Cei, ci ha appena ricordato con lu­cida e accorata denuncia che «quando si bru­ciano risorse, inseguendo miraggi, resta solo la cenere». Il "governo dei tecnici", anche su questo fronte, è impegnato a dimostrare il coraggio di parlare e agire con chiarezza, sfidando l’impopolarità. Può venirne solo un ulteriore recupero di credi­bilità per il Paese intero. Non è solo lo spread che ci tiene sotto scacco. E il cittadino non va tu­telato solo dai cinici "signori dei mercati", an­che quella sull’azzardo è pura speculazione. L’I­talia può batterla tornando coi piedi per terra. Forse sognando un po’ di meno, certo guardan­do più lontano.

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