mercoledì 4 febbraio 2015
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Un grande e limpido specchio dove possano riflettersi i volti di tutti gli italiani, nessuno – assolutamente nessuno – escluso. Riuscendo a incrociare un altro volto, quello finalmente non più arcigno, ma accogliente e incoraggiante, della Repubblica. Sobrio nei tempi e nei toni, ma al tempo stesso ricco di spunti suggestivi, Sergio Mattarella ha così disegnato ieri, davanti al Parlamento, quell’«orizzonte di speranza» che il suo settennato desidera fortemente restituire ai cittadini. Un "programma" non solo ideale, ma profondamente politico nel senso più nobile del termine. Un obiettivo che l’emiciclo di Montecitorio ha mostrato di condividere ben oltre i numeri dell’elezione, più che nel tambureggiare degli applausi a ripetizione, nel senso di sollievo diffuso man mano che il presidente avanzava nella lettura del messaggio.Il nuovo inquilino del Colle più alto è il primo a sapere che dare carne e sostanza a un simile progetto, cominciando anzitutto a dipanare la matassa della crisi economica e sociale, non sarà impresa facile. Ed è stato particolarmente chiaro nel sottolineare che non tocca all’"arbitro" condurre il gioco in campo, pur esortando con arguzia i giocatori a favorire il suo ruolo di garante, rispettando correttamente le regole. Ma certo non si è sottratto dal tracciare, con competenza pari alla passione civile, le linee guida di una missione che, accanto agli altri attori, sente di doversi assegnare: riavvicinare il popolo alle istituzioni democratiche, ricostruire i legami che saldano i cittadini tra di loro e ai loro rappresentanti, troppo spesso percepiti come distanti e, soprattutto, incuranti della sorte di chi li ha eletti.Di qui le esortazioni più volte ripetute a non ritardare l’azione riformatrice, per ritrovare le ragioni condivise dell’unità nazionale e del patto costituzionale sancito ormai quasi settant’anni fa. Ma a farlo giorno dopo giorno, in uno sforzo di «conquista» quotidiana della democrazia che deve mobilitare tutte le forze sane della nostra società. Perché le piaghe seminate da una crisi senza precedenti, sotto forma di ingiustizie, di povertà vecchie e nuove, di emarginazione, non vanno mai perse di vista ma curate e accudite senza distrazioni. Perché le minacce alla legalità e alla sicurezza, l’orrore della sfida terroristica a sfondo religioso, non danno tregua e non consentono indugi. Perché l’emergenza umanitaria prodotta dalle masse di profughi che bussano alla porta dell’Europa, pur fronteggiata finora con generosità e alto spirito umanitario dal nostro Paese, non dà segno di volersi attenuare.Senza spargere facile ottimismo, Mattarella ha tuttavia voluto richiamare con nettezza alcune ragioni di quella speranza che professa. E anche in questo caso lo ha fatto seguendo un criterio che sembra intenzionato a perseguire tenacemente nell’adempimento del suo mandato: evitare di contrapporre la gente e il Palazzo. Ha infatti ricordato la presenza nella società di risorse rilevanti in grado di essere mobilitate: giovanili, imprenditoriali e nelle stesse strutture pubbliche. Al tempo stesso, strappando all’assemblea una delle manifestazioni di consenso più partecipate, ha richiamato la presenza più alta nella nostra storia parlamentare di donne e di giovani eletti: come tali, potenzialmente più capaci di alimentare la voglia di cambiamento, purché siano consapevoli che il loro ruolo non è solo al servizio di una parte ma dell’intera comunità nazionale. È il preannuncio di una presidenza, come molti hanno osservato e noi di Avvenire abbiamo subito colto e titolato, «dalla parte dei cittadini», ma mai ai danni di chi li rappresenta e li governa.Ha voluto essere sobrio e misurato, il nuovo capo dello Stato, anche nelle citazioni di persone e figure della nostra vicenda contemporanea. Proprio per questo, i nomi risuonati ieri nel suo discorso appaiono particolarmente emblematici. Accanto ai suoi predecessori, Mattarella ha evocato tre vittime, Falcone, Borsellino e Stefano Taché. Ha poi ricordato i due marò detenuti in India e i tre connazionali scomparsi nelle aree calde delle crisi internazionali: è la dimostrazione di un’indole solidale e di una sensibilità umana che presto molti impareranno a conoscere. Infine, ha preso in prestito le parole di papa Francesco per condividerne la condanna severa della corruzione e di chi la pratica, molto spesso affiancandola all’appartenenza a quella mafia che ha così dolorosamente colpito la sua famiglia. E che si potrà sconfiggere, ha concluso, solo mobilitando «una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci». In questo, il suo esempio e il suo odierno approdo alla più alta magistratura repubblicana è già una garanzia che la vittoria è possibile.
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