sabato 27 febbraio 2016
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Fra qualche anno, quando – si spera – si sarà trovata una capacità di governo e soprattutto di civile e solidale risposta ai flussi migratori che a partire dalla prima decade del terzo millennio hanno investito le frontiere d’Europa, ci si domanderà se sia nata prima la reazione alla grande paura dei migranti o se viceversa fosse stato l’endemico egoismo di un’Europa in crisi economica, politica e morale e non più in grado di restare unita a seminarne la malapianta. Ci domanderà come si fosse giunti al rifiuto di un Paese civile e mite come l’Austria di ospitare nuovi migranti al punto da chiudere i propri varchi, così come avevano fatto la Macedonia, l’Ungheria, la Croazia e la Slovenia, imbottigliando le lunghe schiere di profughi in una sacca sub-balcanica, per cui la Grecia diventava un serbatoio senza uscita. La stessa Grecia che, già provata dalla crisi economica e in prima linea nell’accoglienza ai migranti provenienti dal Vicino Oriente, respingeva per ritorsione la visita di un ministro di un Paese membro della medesima Unione di cui entrambi facevano parte.Ci si chiederà anche se il cosiddetto Gruppo di Visegrad – Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Slovacchia (in altre parole i più prosperi fra i Paesi ex-satelliti dell’Unione Sovietica, cui si può aggiungere senza fatica il terzetto di Repubbliche baltiche, Lettonia, Lituania, Estonia un tempo anch’esse sotto il giogo di Mosca) – non incarnino alla perfezione l’allegoria di quella Grande Paura che sta frantumando l’Europa spingendola progressivamente verso una spaccatura frontale con se stessa e con l’idea che l’Europa dei fondatori aveva di sé. Perché quella che abbiamo sotto gli occhi oggi è un’Europa capace di costruire muri, di stendere reti di filo spinato, di vellicare la pancia sorda dell’opinione pubblica con slogan brutali, in grado però di far crescere la fortuna elettorale di chiunque impugni lo stendardo della xenofobia, del razzismo, dell’euroscetticismo.Per tutti loro, per i loro leader, per i loro sostenitori i profughi e i migranti economici sono una minaccia, non una risorsa, soltanto un problema da risolvere, non prima di tutto persone con problemi da affrontare ed energie e competenze da valorizzare. Per tutti loro l’Europa di Schengen, quella della solidarietà fra i popoli nella sicurezza, è un’utopia fallita. In parte hanno ragione. Gli egoismi nazionali, le miserie contabili, le piccinerie normative non sono mai mancati. Ma ben di più nella filigrana d’Europa è teatralmente cambiato. Qualcuno – come Alain Finkielkraut nel suo L’Identité malheureuse o il più pessimista Michel Houellebecq – ha parlato di una progressiva disidentità europea, un lascito maligno che ha soppiantato valori e speranze consentendo ai populismi nascenti di proliferare sulla delusione collettiva.Dal canto suo l’Unione Europea non riesce a dare risposte efficaci. I vertici si susseguono, le bozze conclusive diventano documenti dove la limatura dei termini e l’anestetizzazione dei concetti sono la principale premura dei leader e degli sherpa che ne approntano i documenti. Quote europee obbligatorie, ricollocamenti per i richiedenti asilo, accordi stipulati in sede comunitaria finiscono per accavallarsi nei tanti ricorsi presentati dagli Stati membri presso la Corte di giustizia della Ue in Lussemburgo, quando non vengono esplicitamente (e populisticamente) respinti al mittente dai singoli governi. Basta pagare, a volte, per allontanare lo spettro. Come si sta facendo con la Turchia, cui verseremo 3 miliardi di euro annui perché si tenga stretta i suoi profughi siriani, afghani, iracheni. Su questi capitoli di spesa la Ue non lesina mai: la Grande Paura del migrante fa miracoli.Una paura insensata e anche ridicola, se pensiamo alla "pulce" costituita da quel milione o poco più di richiedenti asilo su mezzo miliardo di cittadini europei, a fronte di un Paese come il Libano, che di profughi ne ospita oltre un milione e mezzo su una popolazione di 4 milioni, e nonostante tutto non collassa. «Se tutti i Paesi europei – ha detto ieri il presidente della Commissione Europea Juncker al termine dell’incontro con il premier Renzi – avessero adottato il comportamento dell’Italia in tema di migranti, i problemi oggi sarebbero meno gravi». Forse non siamo i più bravi né i più virtuosi, di certo però per noi, nonostante seminagioni di sospetto e persino d’odio, l’idea di Europa e di umanità qualcosa ancora vuole dire.
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