venerdì 11 luglio 2014
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La decisione del vescovo di Oppido-Palmi, monsignor Francesco Milito, di sospendere tutte le processioni in programma nella diocesi per i prossimi mesi, va letta alla luce del messaggio, caloroso e paterno, in cui il pastore sottolinea con forza che il senso del provvedimento non è di avallare facili giudizi di condanna, bensì di aprire uno spazio di riflessione e di silenzio in cui, con il concorso dell’intera comunità diocesana, operare un sereno discernimento.Si tratta di un progetto la cui urgenza, in realtà, va molto al di là del singolo episodio di cronaca e della stessa diocesi di Oppido-Palmi, ma coinvolge il vasto problema della religiosità popolare. La Chiesa, e non certo da ora, ha precisato la sua posizione in merito. Da una parte, contro certe liquidazioni sommarie, essa ha preso atto dell’importanza e della insostituibilità di una devozione dei semplici, radicata nella tradizione, in grado di coinvolgere profondamente e sinceramente strati popolari che solo per questa via hanno accesso all’esperienza cristiana. Nella Evangelii gaudium papa Francesco ha ricordato che «nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi» (n.123). È la logica dell’inculturazione del Vangelo, che spinge a tradurlo nelle forme, a volte inadeguate e imperfette, delle culture locali, per renderlo comprensibile e praticabile da uomini e donne che altrimenti lo percepirebbero come un astratto teorema celeste estraneo alla loro vita di ogni giorno.La religiosità popolare contiene, da questo punto di vista, una grande carica di umanità. Non a caso essa valorizza più il sentimento che la ragione, più l’appartenenza territoriale che l’universalità, più il grido di soccorso a Dio, alla Madonna, ai santi, che una pacata contemplazione. E non a caso a promuoverla non è mai stata tanto la gerarchia ecclesiastica, quanto la gente comune, il laicato, raccolto nelle confraternite, che rappresentano il più antico esempio di protagonismo laicale nella Chiesa, molto prima che il Concilio Vaticano II rivalutasse il ruolo dei laici.Dall’altra parte, però, lo stesso magistero ha sottolineato la necessità di questa devozione, che a volte porta ancora tracce di antiche eredità paganeggianti. Ciò avviene nella misura in cui alla visione evangelica si sostituisce una "religione del sacro" che ne annulla la peculiarità. Perché il "sacro", se viene assolutizzato, diventa un surrogato di Dio, che lo nasconde, invece di renderlo presente, e lo relega in certi luoghi e in certi riti, invece di farlo percepire in ogni situazione della vita quotidiana. La buona notizia (questo significa in greco "vangelo") è che Dio viene a salvare gli uomini nella loro esistenza un tempo considerata "profana", che in realtà non è più tale, perché dopo l’incarnazione ogni attività lavorativa, ogni esperienza in famiglia, ogni impegno in politica, sono diventati una liturgia.Ma allora non c’è più posto per gli sdoppiamenti tra ciò che si fa dentro le mura della parrocchia o al seguito di una processione e ciò che si vive ogni giorno. Non si può, come certi mafiosi, essere assidui frequentatori dei rituali e poi, fuori, prevaricare, minacciare, uccidere. Non ci si può chiudere nel proprio clan familiare, ma bisogna aprirsi alla solidarietà con la più vasta comunità civile. E non si può accettare la logica del fatalismo, che da sempre avvelena il Meridione, perché essa era quella pagana dell’"eterno ritorno", mentre il cristianesimo è innanzi tutto speranza, proiezione fattiva verso un futuro in cui il Signore tornerà a chiederci conto dell’uso che abbiamo fatto dei talenti affidatici.Auguriamo ai cristiani della diocesi di Oppido-Palmi di condurre serenamente il loro discernimento. Ma l’augurio si deve estendere a tutta la Chiesa italiana, perché avvii percorsi fecondi di formazione permanente, in grado di far uscire i credenti dalla logica del "sacro" e di renderli coerenti testimoni del Vangelo per le strade, negli uffici, nelle scuole delle loro città.
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